Leggere ancora di Mohammed Farah Aidid in un articolo di cronaca – a quasi venticinque anni dalla sua morte – ne testimonia la lugubre forza evocativa. Si tratta di nuove ipotesi sul ritiro delle Forze Armate keniote, in applicazione alla Risoluzione ONU 2472/2019 e alla prossima fine del mandato AMISOM, prima della diminuzione anche di quegli effettivi. L’auspicio è che le tragedie passate servano a evitare fughe in avanti. Se ne ricava la sensazione di un calcolo molto freddo e cinico sulla persistenza dell’instabilità nel Corno, di cui quella figura resta eponimo. Le forti influenze esterne hanno complicato gli scenari, favorite da attori interni alla ricerca di indebiti ritorni.
Le vicende connesse alla liberazione della cooperante italiana hanno portato all’attenzione pubblica italiana l’attuale ruolo turco, avviato un decennio orsono con azioni umanitarie, culturali, economiche e militari. Un supporto determinante, che quando possibile dà vita a vicendevoli favori. Mogadiscio l’aveva riconosciuto a gennaio con accordi preliminari con Ankara su prospezioni energetiche offshore.
La prima gara per l’assegnazione di nuove licenze esplorative – lungo le coste centro-meridionali – si prevede avverrà da agosto a marzo 2021, in applicazione della legge varata nel 2019 e dopo una serie di ritardi. Per ammissione dello stesso Ministro Abdirashid Mohamed Ahmed il periodo non è dei migliori, ma sarà un test delle prospettive somale e della volontà di ingaggio con l’attuale dirigenza. Rivali dei turchi sono soprattutto sauditi ed emiratini, stigmatizzati dal Ministro degli Esteri turco Cavusoglu per il loro supporto agli Al Shabaab – mentre l’ex Direttore dell’intelligence somala Abdullahi Mohamed Ali punta contro influenze qatarine.
L’attività terroristica si è manifestata con eventi di basso livello. Spiccano nel Ghedo e in Puntland attacchi a basi militari, poco organizzati e respinti; nel Basso Scebelli 6 sospetti sono stati uccisi da Forze governative.