La crisi nella regione del Tigrai, in corso da mesi sotto il profilo di una sempre più critica dialettica politica, ha subito un’escalation a partire dal 4 novembre, quando scontri di diversa entità e portata sono stati registrati in diverse aree della regione.
L’antefatto all’evoluzione militare della crisi è stato rappresentato dalla decisione delle autorità del TPLF di impedire al comandante e al vice-comandante della Divisione settentrionale dell’esercito federale di raggiungere il proprio comando a Macallè, seguito dal tentativo il 3 novembre di impossessarsi degli equipaggiamenti militari federali presenti nella regione.
In conseguenza dell’attacco ad una o più caserme dell’esercito federale (i dati sono allo stato attuale molto frammentari e incerti, su ambo i fronti) si sarebbero registrate defezioni all’interno delle unità, con la fuoriuscita delle unità lealiste e il successivo tentativo di riorganizzarsi in diverse aree della regione, anche al di fuori dei confini del Tigrai.
Fonti locali prive di alcuna reale conferma hanno riferito di unità lealiste che si sarebbero raggruppate nell’area di confine di Badme, villaggio storicamente conteso dall’Eritrea, dove secondo le stesse fonti si sarebbe verificato un vero e proprio passaggio di autorità della città alle forze dell’esercito eritreo.
Sebbene non confermate, le notizie su Badme trovano sponda anche nei sempre più scarni e disorganici comunicati del TPLF, che in più occasioni ha riferito di disporre di “numerosi missili con cui poter colpire la città di Badme”. Un riferimento che desta interesse, alla luce delle voci che incontrollate si rincorrono sulla sorte del piccolo villaggio di frontiera, rivendicato dagli Eritrei e da sempre simbolo della conflittualità tra Addis Abeba e Asmara.
Il 7 novembre, nel corso di una sessione d’emergenza del parlamento etiopico, La Camera della Federazione ha poi dichiarato dissolto il governo regionale del Tigrai, reo di aver violato la costituzione e messo a repentaglio il sistema costituzionale. Una nuova amministrazione provvisoria è stata contestualmente nominata, nell’attesa di potersi insediare al termine delle operazioni militari atte a ristabilire l’ordine nella regione.
Appare quindi in tutta la sua ampiezza la portata dell’offensiva sferrata dal primo ministro Abiy Ahmed contro le autorità “ribelli” del TPLF nel Tigrai, dove da ormai una settimana sono in corso scontri tra le locali forze di sicurezza e quelle dell’esercito federale.
Con uno scarno comunicato diramato via Twitter il 7 novembre, il primo ministro Abiy Ahmed ha affermato che “lo scopo delle operazioni militari in corso è quello di cessare l’impunità che ha prevalso fin troppo a lungo, e di costringere individui e gruppi ad osservare le leggi dello Stato”.
Nel corso della stessa giornata, il primo ministro ha confermato l’esecuzione di alcune sortite aeree da parte delle forze federali, a partire dalla giornata del 6 novembre, con l’obiettivo di neutralizzare le batterie missilistiche anti-aeree e gli apparati radar dislocati nella regione del Tigrai e sotto il controllo delle locali forze di sicurezza.
Il giorno successivo, invece, il primo ministro Abiy Ahmed ha deliberato un consistente rimpasto al vertice, soprattutto all’interno degli apparati della sicurezza.
Senza fornire alcuna ragione in merito alla decisione, il primo ministro ha annunciato la sostituzione del Capo di Stato Maggiore Gen. Adem Mohammed con il suo vice Gen. Berhanu Jula, da tempo figura chiave delle forze armate, mentre al vertice dell’intelligence è stato nominato il governatore della regione Amhara, Temesgen Tiruneh, che sostituisce Demelash Gebremichael, a sua volta nominato al vertice della polizia federale.
È stato infine sostituito anche il ministro degli esteri, con l’uscita di Gedu Andargachew e la nomina ad interim del vice primo ministro Demeke Mekonen.
Un rimpasto importante, che dimostra la determinazione del primo ministro Abiy Ahmed nel voler perseguire la propria personale strategia di contrasto al ruolo delle entità politiche autonome regionali, riportando idealmente sotto l’egida del governo centrale federale il controllo del paese.
Frammentarietà dell’informazione ed effettiva evoluzione del conflitto
Una molteplicità di fattori rende allo stato attuale particolarmente impervia l’analisi dell’evoluzione delle dinamiche politiche e militari del conflitto in corso nella regione del Tigrai.
Tre fattori, in particolar modo, costituiscono la principale barriera all’acquisizione di informazioni qualificate dalle aree interessate dalla crisi.
Il primo fattore, allo stato attuale forse il più significativo per comprendere la qualità e la quantità di informazioni disponibili, è quello della difficoltà di trasmissione dalle aree di crisi, avendo il governo federale sospeso i collegamenti telefonici e internet con il Tigrai e buona parte delle aree limitrofe.
Al di fuori della rete di trasmissione militare etiopica, quindi, le informazioni e le immagini che raggiungono le aree periferiche sono limitate e spesso inattendibili, impedendo di poter definire uno scenario preciso e aggiornato
Il secondo, di più ampia portata, è quello connesso alla narrativa del conflitto in atto, che ognuna delle due parti cerca di canalizzare – in modo alquanto dogmatico – all’interno di una retorica “dell’appartenenza”, rendendo alquanto difficile la promozione di un dibattito equilibrato.
La narrativa del conflitto promossa dal primo ministro e dalle autorità di Addis Abeba è quella impostata sull’esigenza di negare la sussistenza di un conflitto civile, quanto piuttosto sostenere la condotta di un’operazione per ristabilire la sovranità del governo e l’ordine in una provincia ribelle, governata da un partito autoreferenziale e assolutista, che per quasi trent’anni ha determinato autoritariamente le sorti dell’intero paese, incapace di ammettere il proprio declino e, soprattutto, la propria sconfitta elettorale nel 2018.
La narrativa tigrina è al contrario quella di sostenere la sussistenza di uno scontro tra la visione autoritaria e nazionalista di Abiy Ahmed alleata di quella aggressiva ed egemonica del presidente eritreo Isaias Afewerki, da un parte, e quella autonomista, federale e multi-nazionale del Tigrai. Uno scontro animato dalla volontà non tanto di sconfiggere il TPLF, quanto piuttosto di soggiogare definitivamente la popolazione tigrina, cancellandone l’identità e le prerogative di indipendenza.
Posizioni inconciliabili, con la pretesa su entrambi i fronti di accettare in modo manicheo e dogmatico l’una o l’altra narrazione dello scontro, in una percezione dell’avversario come minaccia esistenziale.
Questo dualismo si presenta in modo particolarmente evidente nella comunicazione della diaspora, soprattutto attraverso i social media, dove la polarizzazione delle posizioni favorisce la diffusione di informazioni contraddittorie, spesso palesemente false, e in ogni caso espressione più del sentito dire che non del diretto contatto con le aree interessate dalla crisi.
Il terzo fattore, infine, è dato da quella che appare allo stato attuale come una pronunciata elasticità delle diverse linee del fronte, con mutamenti anche significativi di equilibrio che tendono spesso a correggere o contraddire le informazioni disponibili.
L’azione militare delle forze federali appare senza dubbio multipla in termini di aree di intervento, così come diversificata sotto il profilo delle forze impiegate, offrendo uno scenario evolutivo del conflitto spesso velocemente mutevole.
È quindi chiaro come, al momento, non sia oggettivamente possibile fornire un quadro preciso – e soprattutto aggiornato – dell’effettiva dimensione degli scontri e del controllo territoriale da parte delle forze federali e quelle tigrine.
Alla luce delle informazioni che sembrano aver trovato riscontro su entrambi i fronti della crisi, le forze federali sembrerebbero aver dominato l’iniziativa in tre aree del Tigrai, e più precisamente sul versante nord-occidentale nei distretti di Kafta Humera della Zona Mi’irabawi e quello di Tahtay Aiyabo della Zona Semien Mi’irabawi, e, sul versante sud-orientale nel distretto di Raya Azebo nella Zona di Debubawi.
Sortite aeree sarebbero state condotte a più riprese contro le installazioni militari alla periferia della capitale regionale del Tigrai, Macallè, impiegando Sukhoi SU-27, così come contro le batterie missilistiche e le stazioni radar degli S-75 e S-125 dislocate ad Adigrat ed Axum.
Secondo voci circolate nelle ultime 72 ore, alcune migliaia di soldati dell’esercito federale etiopico dislocate nella regione della Tigrai (circa 2.000 secondo le fonti locali) avrebbero ripiegato sulla città di frontiera di Badme, oggetto delle rivendicazioni territoriali dell’Eritrea, e da qui avrebbero organizzato una transizione dell’autorità alle forze militari eritree, venendo a loro volte sostenute dall’esercito di Asmara nella preparazione di una controffensiva, che avrebbe portato alla conquista delle città di Scirè e Shiraro.
Tre il 7 e l’8 novembre, poi, sarebbe stata riconquistata dall’esercito etiopico la città di Humera, alle propaggini nord occidentali del Tigrai, sul confine con l’Eritrea. Unità corazzate dell’esercito avrebbero lanciato un’offensiva seguita dall’azione della fanteria, che sarebbe riuscita a riprendere il controllo della cittadina dopo intensi combattimenti. Avrebbero partecipato all’azione unità dell’esercito federale e forze speciali della regione dell’Amhara. L’avanzata verso Humera avrebbe permesso di ripotare sotto il controllo delle forze governative l’intera area di confine tra il Tigrai e il Sudan.
Ogni altra informazione sull’andamento delle operazioni militari non trova riscontri certi o, come sempre più spesso accade, è oggetto di smentite e controinformazioni, rendendo difficoltosa la valutazione delle informazioni.
Il governo regionale del Tigrai sembra ancora disporre di sufficiente autonomia militare e logistica per operare tanto sul fronte dei combattimenti quanto su quello dell’informazione, sebbene molti dei comunicati siano considerati privi di reale riscontro. Le autorità del TPLF insistono nel sostenere la presenza di abbondanti defezioni tra i ranghi della Divisione Settentrionale dell’esercito federale etiopico e della rotta di molte unità lealiste in direzione tanto del confine eritreo a nord quanto verso la regione dell’Amhara a sud.
Il portavoce del TPLF, Getachew Reda, ha diramato un comunicato il giorno 8 novembre da una località sconosciuta, accusando l’Eritrea di essere il principale promotore del conflitto, accusando Isaias Afewerki di aver pianificato l’invasione del Tigrai dando appoggio a due divisioni etiopiche, che avrebbero permesso di accerchiare la regione. Le forze del TPLF, avrebbe ammesso Getachew Reda, hanno perso terreno e sarebbero circondate su più fronti. Si tratta di una dichiarazione che ha sollevato dubbi e che alcuni analisti ritengono sia poco verosimile e, probabilmente diramata artificiosamente dalle stesse autorità del governo federale di Addis Abeba.