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L’al Shabaab uccide Mohamed Nur Galal, generale somalo a cui anche l’Italia deve molto

È morto ieri a Mogadiscio, sotto i colpi dei terroristi dell’al Shabaab, il Generale Mohammed Nur Galal. Un nome sconosciuto alla maggior parte degli italiani ma al quale l’Italia deve molto.

Fu il Generale di Divisione Mohammed Nur Galal, il 29 gennaio del 1991, in qualità di comandante delle forze militari del Congresso Somalo Unito, a dare la notizia della caduta di Siad Barre e della conquista di Villa Somalia, alla fine di un mese di violentissimi combattimenti che avevano segnato la fine dei 21 anni di regime del dittatore somalo.

Il Gen. Galal, veterano della guerra in Ogaden ed ex comandante dell’intelligence militare, non aveva esitato a schierarsi dalla parte delle formazioni ribelli, dove aveva messo la sua lunghissima esperienza militare al servizio delle formazioni del Congresso Somalo Unito, contribuendo significativamente a determinarne la vittoria contro gli ultimi pretoriani del presidente.

Il Generale credeva fermamente nella necessità di restaurare la democrazia in Somalia, e annunciò infatti poco dopo come imminente l’avvio dei lavori per organizzare elezioni libere sotto il controllo delle Nazioni Unite. Chiedeva anche un processo pubblico contro Siad Barre, sperando di chiudere la dolorosa parentesi di violenze che aveva insanguinato la Somalia, favorendo un processo di riconciliazione nazionale.

I sei gruppi politici somali che avevano dato vita al governo provvisorio, tuttavia, tradirono le aspettative di Galal e dei somali, tornando ben presto alle barricate e facendo nuovamente piombare la Somalia nel caos e nella violenza.

Il generale Galal entrò giovanissimo nelle forze armate. Mi disse un giorno che il suo sogno sarebbe stato quello di entrare nella polizia militare, ma che, al contrario, il generale Siad Barre volle che lui e molti altri giovani ufficiali  frequentassero l’accademia militare di Frunze, in Unione Sovietica, per diventare poi ufficiali dell’Esercito.

Dopo gli anni trascorsi in URSS rientrò in Somalia, dove riuscì a distinguersi come un brillante ufficiale, raggiungendo ben presto il grado di Generale. Partecipò alla guerra dell’Ogaden del 1977 pianificando le operazioni di intelligence, e conducendo personalmente la ricognizione preventiva del territorio, dove costituì cellule di somali che avrebbero poi sostenuto l’ingresso e l’avanzata dell’esercito dopo l’attacco del 13 luglio del 1977.

Tornato in Somalia alla fine della guerra, fu spettatore del lungo declino di Siad Barre, accompagnato da una svolta autoritaria che decimò i più capaci funzionari di governo, gli intellettuali e ogni forma di opposizione al sempre più isolato dittatore.

Aderì in tal modo al movimento di opposizione che alla fine degli anni ’90 riuscì a far cadere la dittatura di Siad Barre, ma l’illusione di un passaggio alla democrazia e alla stabilità durò poco.

Pur essendo parte degli Habr Gedir – Air, un sottoclan degli Hawiye, il Gen. Galal si era sempre opposto al ruolo politico delle componenti claniche, cercando di favorire un dialogo e una visione comune che l’avevano fatto additare da alcuni della sua comunità come una sorta di traditore.

Al contrario, durante i lunghi anni della guerra civile, si era sempre prodigato per cercare di limitare il ruolo dei “signori della guerra”, attraverso un dialogo trasversale delle comunità degli anziani dei diversi clan.

Quando, nel 2006, le Corti Islamiche riuscirono a sconfiggere i “signori della guerra” e ristabilire l’ordine a Mogadiscio, il Gen. Galal cercò ancora una volta di mediare tra le diverse componenti della “fulinta”, l’ombrello organizzativo centrale delle Corti, temendo la deriva oscurantista di alcune di queste e soprattutto la capacità di influenza ideologica ed economica di alcune monarchie del Golfo Persico.

Nel corso di lunghe conversazioni, non riusciva a capacitarsi del perché gli italiani e gli europei continuassero a trascurare la Somalia e il rischio di una nuova fase di instabilità guidata dal radicalismo islamico.

Galal fu tra i primi a denunciare il rischio della deriva presa dai giovani dell’al Shabaab, costituito da Aden Hashi Ayro (con il sostegno dello spregiudicato uomo d’affari Addani), convincendo poi le componenti sufiche dell’Islam somalo della necessità di combatterli.

Il 15 gennaio del 2015, Ayro, insieme ad alcuni accoliti di quella che di lì a poco sarebbe diventata la più temuta organizzazione terroristica d’Africa, devastò il vecchio cimitero italiano di Mogadiscio, disperdendo i resti di oltre 700 salme di connazionali sulla vicina spiaggia.

Partì in quel momento un’operazione di cui si interessò anche la stampa italiana, coordinata dalla nostra intelligence, che permise di recuperare i resti degli italiani, riporli in 18 casse e poi trasferirli a Bari, dove, con tutti gli onori militari, vennero finalmente inumate nel Sacrario dei caduti d’oltremare il 21 ottobre del 2006.

Alla cerimonia, accanto ai vertici militari e dell’intelligence, c’era anche il Gen. Galal, il cui contributo fu prezioso per il recupero dei corpi e il loro trasferimento al di fuori della Somalia.

Convinto sostenitore della soluzione somala al problema della Somalia, si oppose all’intervento dell’Etiopia in Somalia nel dicembre del 2006, venendo ricercato proprio dal quel Col. Gabra dell’intelligence etiopica che oggi si nasconde tra il Somaliland e il Puntland, braccato dalle autorità di Addis Abeba ed accusato dai somali di ogni forma di violenza, ruberia e corruzione.

Il Gen. Galal dovette lasciare la Somalia di gran fretta sotto la minaccia del Col. Gabra, risiedendo per alcuni mesi a Dubai, dove dal 1991 è presente una cospicua comunità della diaspora, e dove poté contare sulla solidarietà e l’aiuto di qualche vecchio amico.

Criticò più volte anche i metodi di intervento statunitensi contro l’al Shabaab, ritenendo che provocassero un numero enorme di vittime civili innocenti, finendo per agevolare la narrativa degli islamisti.

Con la fine del governo federale di transizione e l’avvio della nuova fase politica della Somalia, il Gen. Galal era rientrato a Mogadiscio e, sebbene anziano, aveva ripreso la sua attività politica e sociale a favore del dialogo tra le diverse comunità claniche.

Il Gen. Galal, ormai anziano, da qualche tempo risedeva all’Hotel Afrik, nel centro di Mogadiscio, noto per essere un ritrovo di politici, ufficiali e uomini d’affari. Gli alberghi, purtroppo, sono diventati un frequente bersaglio da parte dei terroristi, proprio perché frequentati da alti esponenti delle istituzioni.

Non si conosce con precisione la dinamica di ciò che è accaduto, né quale fosse con precisione l’obiettivo dell’attacco che di lì a poco è stato sferrato dai jihadisti dell’al Shabaab.

Come da modus operandi dell’organizzazione, un’autobomba si è fatta esplodere all’ingresso dell’hotel, seguita da un commando armato che ha aperto il fuoco all’interno della struttura.

Ne è derivato un lungo conflitto a fuoco, protrattosi per otto ore, che alla fine ha provocato quattro morti tra gli assalitori e almeno cinque tra gli ospiti dell’Hotel.

È stato il primo ministro Mohamed Hussein Roble, questa mattina, a dare ufficialmente l’annuncio che tra le vittime era stato identificato anche il corpo del Gen. Galal, che, nelle parole di Roble “sarà ricordato per i suoi oltre 50 anni di servizio nella difesa del paese”.

https://www.huffingtonpost.it/entry/ucciso-galal-generale-somalo-a-cui-anche-litalia-deve-molto_it_6017ec40c5b6bde2f5c13e3c?utm_hp_ref=it-homepage

Nicola Pedde
Nicola Pedde
Nicola Pedde è il Direttore dell’Institute for Global Studies. Dopo gli studi in Giurisprudenza ha conseguito un Master in International Relations e un PhD in Geografia Economica, concentrando il suo interesse professionale sull’evoluzione delle dinamiche politiche e di sicurezza dei paesi del Golfo Persico.

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