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La morte del Generale Galal getta un’ombra sinistra sul processo politico in atto

L’evento maggiore di questa settimana in Somalia è purtroppo una azione luttuosa e triste, avvenuta a Mogadiscio nella sera del 31 gennaio all’hotel Afrik, posto in città nei pressi dell’incrocio K-4 e quindi dell’aeroporto, punto di ritrovo per incontri istituzionali o politici.

Un gruppo di almeno 4 terroristi dell’Al Shabaab – movimento che ha poi rivendicato l’attacco – ha dapprima fatto esplodere una autobomba all’ingresso della struttura, poi vi ha fatto irruzione ingaggiando uno scontro a fuoco con Forze di sicurezza portato avanti per lunghe ore. Al termine, si conta un bilancio di almeno 5 vittime civili, 15 secondo altre fonti; tra queste, vi è l’ex generale Mohamed Nur Galal; una decina i feriti. La morte del Generale è motivo di particolare cordoglio, per la perdita di un influente leader ed eroe di guerra, che nelle parole del Premier Roble ha “servito il suo Paese per più di 50 anni”.

Nell’hotel era in corso una riunione politica del clan Hawiye, volta a discutere l’approccio a un emendamento avallato dal Presidente Farmajo circa i criteri per selezionare i 13 rappresentanti del Benadir/Mogadiscio. A 30 anni esatti dalla caduta di Siad Barre la discussione sulle elezioni presidenziali dell’8 febbraio, ritardate, è molto vivace. La frammentazione spinta al parossismo ne resta il dato costante, talora scientemente voluto.

È ciò che più tradisce la visione di quanti, come Galal sinora, vedono nel dialogo e nella comunità di intenti tra somali la via di uscita rapida e positiva dalla dittatura prima e dalla disgregazione dello Stato poi. Tale obiettivo va perseguito al di là del peso relativo da attribuire alla componente religiosa e soprattutto all’appartenenza clanica, ricostruendo le strutture capaci di sostenere una funzione nazionale, come è stato in primis (ma sinora solo parzialmente) per l’Esercito.

Nella rivendicazione si fa riferimento non solo a questi trascorsi del gen. Galal, quanto anche alla sua responsabilità nella morte di uno dei primi leader del jihadismo somalo: Aden Ayro, ucciso in un raid aereo USA nel maggio 2008. Se l’attività politica era rimasta una costante, quest’ultimo evento appare però troppo distante nel tempo. Taluni osservatori collegano perciò piuttosto l’attacco mirato alla contingenza del momento elettorale somalo, ipotesi che getta una ombra lunga e sinistra sull’intero processo politico. Nuovi colloqui a Dhusamareb teatro degli incontri politici della passata intesa non sono riuscite a dissiparle, mentre l’Esercito ha comunicato di aver sventato un ulteriore attacco terrorista in questa città il 3 febbraio.

I colloqui avvengono per effetto anche della maggiore pressione internazionale a risolvere l’impasse prima dell’8 febbraio. Senza persone capaci di raccogliere e concretizzare una politica positiva per la Somalia gli effetti per l’intera regione possono essere involutivi anche nel breve termine; i nuovi scontri armati nell’Oltregiuba a fine gennaio e le fortissime tensioni con il Kenya in ambito IGAD ne sono solo una avvisaglia.

Vincenzo Palmieri
Vincenzo Palmieri
Vincenzo Palmieri è un Senior Analyst per l’Africa dell’Institute for Global Studies, dove si occupa prevalentemente di Africa Orientale. Analista politico di una grande multinazionale, il suo ambito di esperienza professionale verte sull’analisi dei sistemi politici e delle dinamiche di crisi del Medio Oriente e dell’Africa.

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