Anche l’Unione Europea ha ufficialmente chiesto all’Eritrea di ritirate il proprio contingente militare dalla regione del Tigrai etiopico, esprimendo al tempo stesso preoccupazione per la crisi umanitaria determinatasi a seguito del conflitto esploso lo scorso novembre nella regione.
In tal modo, nel solco dell’equivalente posizione degli Stati Uniti, anche l’Unione Europea accusa esplicitamente l’Eritrea di aver preso parte al conflitto e alle successive fasi di stabilizzazione della regione, esprimendo seria preoccupazione per la situazione umanitaria e quella dei profughi eritrei un tempo ospitati nei campi allestiti nella regione del Tigrai.
Secca e totale, come sempre, la smentita dell’Eritrea, che, per mezzo del proprio portavoce Yemane Meskel, ministro dell’Informazione, rigetta la dichiarazione congiunta degli alti rappresentanti dell’Unione Europea definendola “spaventosa” per le questioni fondamentali che sorvola.
Secondo il ministro Meskel, la dichiarazione europea è stata rilasciata alla vigilia della “missione d’inchiesta che sta inviando nella regione”, con una tempistica che l’Eritrea giudica curiosa e piuttosto strana.
La dichiarazione dell’UE, ha aggiunto Meskel, “lamenta l’esacerbazione della violenza etnica, mentre dimentica convenientemente la politica tossica di etnicità e polarizzazione istituzionalizzata che la cricca del TPLF, ora defunta, ha perseguito per decenni nel paese, oltre alla violenza perenne e il caos che questo ha comportato”.
Il ministro dell’informazione eritreo ha poi aggiunto come “la cricca TPLF” abbia continuato ad occupare i territori eritrei anche dopo l’accordo di pace di Asmara del 2018, “in flagrante violazione del diritto internazionale e dell’accordo di pace di Algeri che l’UE e altre potenze avevano mediato e garantito”.
Secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati, infine, l’analisi delle fotografie satellitari divulgate nel corso delle ultime settimane avrebbero mostrato la completa distruzione delle strutture di accoglienza del campo profughi di Hitsats, che, insieme a quello di Shimelba, ospitava 20.000 rifugiati eritrei.
Le autorità etiopiche sostengono che i due campi, a causa delle residue attività militari delle forze del TPLF, rende difficoltoso raggiungere i due campi, potendone effettivamente valutare le condizioni.