I colloqui tra Governo federale e Governatori degli Stati regionali, in programma il 15 febbraio e che avrebbero dovuto sciogliere il nodo delle elezioni somale, non si sono mai tenuti. La situazione politica tende dunque ad avvitarsi.
Il Presidente Farmajo intende accreditarsi come leader ad interim, prima di un ciclo di colloqui che ristabiliscano un calendario per il voto. È una posizione che non ammette cedimenti. In parallelo, ma su posizioni diametralmente opposte, i leader dell’opposizione puntano anch’essi a consolidare un fatto compiuto: la mancata organizzazione delle elezioni è equiparata a una sconfitta inappellabile e dichiarando decadute le Istituzioni, ne consegue che essi ne sono i vincitori non virtuali né morali, ma effettivi. Anche questa posizione non ammette negoziato.
La manifestazione organizzata il 19 febbraio – ma non autorizzata – è stata perciò inevitabilmente una resa dei conti. Molto partecipata, pacifica nelle intenzioni, di fatto gli eventi sono subito degenerati in violenti scontri, per l’ostruzione delle Forze di sicurezza leali a Farmajo, che non hanno esitato a ricorrere alle armi per controllare la folla; sospesi finanche i voli all’aeroporto, senza l’appoggio dell’Esercito, nessuna transizione ordinata è plausibile. La Missione ONU ha perciò reiterato gli appelli alla calma e al dialogo, rimasti finora inascoltati. La manifestazione prevista per il 26 febbraio, ad ogni modo, è stata rimandata di dieci giorni in seguito a un accordo in extremis con il premier Roble (25 febbraio), che ha espresso rammarico per gli incidenti e promesso una indagine. Ciò suggerisce che non vi sia intenzione di andare allo scontro, che sarebbe ancora una volta sanguinoso; si può ipotizzare che i canali di interlocuzione all’opera siano a maggiore contatto con la realtà sul campo.
Questa racconta da un lato che l’estensione ufficiale del mandato di Farmajo a guisa di quanto accadde con Sheikh Mohamud tra il 2016 e il 2017 non è un’opzione praticabile, perché si scontra con resistenze interne e regionali (esplicite quelle di Puntland e Oltregiuba e degli Emirati Arabi Uniti) che hanno un seguito robusto nella capitale. Allo stesso modo pare farsi strada l’idea anche tra i ranghi dell’opposizione che è necessario accordarsi su una data per il voto, sì da battere Farmajo con un processo condiviso. Esso deve passare anche per una riorganizzazione di una coalizione di opposizione finora rimasta frammentata; non c’è ad esempio ancora un candidato unico intorno al quale raggrupparsi per un eventuale ballottaggio, dal momento che sembra prevalere l’idea che una designazione in questo senso verrà solo in un secondo momento. È inoltre ancora una richiesta dell’opposizione che Farmajo trasferisca formalmente i suoi poteri, tema sul quale non si osservano progressi. L’opposizione si è appellata all’ONU, ma perché si proceda dovrebbe esservi una spinta internazionale in tal senso, mentre quegli attori sono restii ad avallare una prova di forza o ad esporsi.
I raid aerei nel Medio e nel Basso Scebelli raccontano nel frattempo di una minaccia terrorista sempre configurata, che rende ancor più complessa la soluzione.