Ahmed al Mufti, già parte del team negoziale sudanese con l’Etiopia per la soluzione delle controversie connesse allo sviluppo della diga del GERD, ha rilasciato un’intervista al quotidiano saudita Al Arabiya lo scorso 20 febbraio, affermando che il terreno sul quale è stata costruita la diga sarebbe in realtà sudanese.
Secondo l’ex funzionario governativo sudanese, l’area dove sorge il gigantesco impianto della diga del GERD – ubicato nella regione etiopica del Benishangul-Gumuz – sarebbe stato concesso all’Etiopia nel 1902 dall’allora mandatario britannico sul Sudan, a condizione che il paese non realizzasse alcuna infrastruttura lungo il corso del Nilo Blu senza il preventivo assenso delle autorità britanniche (e poi, quindi, sudanesi).
Secondo quanto affermato da Ahmed al Mufti nel corso dell’intervista, il Sudan potrebbe chiedere adesso la restituzione del territorio interessato, e al tempo stesso ha invocato l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché imponga all’Etiopia di interrompere il riempimento del bacino idrico a monte della diga, che, secondo l’intervistato, espone oltre 20 milioni di sudanesi al concreto rischio derivante dal diminuire dei flussi idrici del fiume.
Il governo sudanese non ha commentato l’intervista del suo ex funzionario, e nemmeno ad Addis Abeba le affermazioni di al Mufti hanno sollevato particolare eco, nonostante la chiara intenzione di alimentare ulteriormente la tensione tra i due paesi.
Non è quindi chiaro se l’intervista ad Ahmed al Mufti sia il frutto di una sua personale iniziativa o, al contrario, di un’azione coordinata con il governo sudanese. Ciò che appare con chiarezza è tuttavia l’adozione di una narrativa e di un’agenda che – questione territoriale a parte – riflette pedissequamente quella di Khartoum e del Cairo.
Il giorno prima dell’intervista ad al Mufti, il governo sudanese aveva annunciato di aver formulato una proposta per la creazione di una tavolo di mediazione quadripartito per la questione della diga del GERD, includendo l’Unione Africana, le Nazioni Unite, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, con lo specifico compito di mediare tra l’Etiopia, l’Egitto e il Sudan le questioni più importanti connesse allo sviluppo della diga e, soprattutto, l’attuale seconda fase di riempimento del bacino idrico. Il Sudan intenderebbe proporre al comitato quadripartito un ruolo attivo nella mediazione e nella facilitazione delle soluzioni, costituendo un proprio comitato di esperti per le valutazioni tecniche sulla complessa questione.
L’Egitto, per mezzo del suo ministro degli esteri Sameh Shoukry, ha fatto sapere il 26 febbraio che condivide in pieno la proposta sudanese per la costituzione di un comitato quadripartito per favorire la ripresa del dialogo sulla questione della diga del GERD.