È morto il 10 marzo a Nairobi l’ex presidente somalo Ali Mahdi Mohammed. Aveva 82 anni e le sue condizioni di salute si sono aggravate dopo aver contratto il virus del Covd-19, che ne ha compromesso le capacità respiratorie imponendo il ricovero d’urgenza presso il Nairobi Hospital.
La storia di Ali Mahdi è strettamente connessa a quella della Somalia della rivoluzione e della guerra civile, quando, nel 1991, lo United Somali Congress – di cui Ali Mahdi era un importante esponente, riuscì a rovesciare il regime di Siad Barre mettendo fine alla dittatura iniziata con il colpo di stato del 1969.
Pochi ricordano, tuttavia, che Ali Mahdi fu parlamentare prima del colpo di stato del 1969, nell’unica breve esperienza democratica del paese, per dedicarsi poi agli affari dopo la conquista del potere da parte del generale Siad Barre.
Nel 1991, le speranze per una pacificazione del paese e un ritorno della democrazia svanirono ben presto quando lo United Somali Congress (USC) elesse Ali Mahdi alla presidenza ad interim della Somalia, generando l’opposizione del generale Mohammed Farah Aidid, membro dello stesso USC e con l’ambizione di assumere il potere dopo la caduta di Barre.
Ali Mahdi, espressione del clan Hawye, sottoclan Abgal, avrebbe dovuto fungere da presidente ad interim solo per un mese, sino all’organizzazione di una conferenza di riconciliazione nazionale chiamata ad eleggere un nuovo governo riconosciuto da tutte le diverse componenti claniche del paese.
Subì invece l’immediato attacco da parte del generale Mohammed Farah Aidid e delle sue milizie parte del sottoclan Habr Ghedir – sempre parte della famiglia degli Hawye – che sfociò in pochi giorni in una violentissima guerra civile.
Ali Mahdi Mohamed si trovò in tal modo a continuare il proprio incarico di governo transitorio, riconosciuto dalla comunità internazionale ma sotto costante minaccia della violenta opposizione delle milizie di Aidid, che fecero piombare la Somalia, e soprattutto la città di Mogadiscio, in una sanguinosa guerra civile protrattasi per anni e di fatti mai del tutto terminata.
Il crollo del potere centrale dello stato somalo face cadere la Somalia sotto il controllo dei cosiddetti “Signori della Guerra”, potenti signori di milizie che si spartirono il controllo del territorio somalo con l’obiettivo di sfruttarne a proprio vantaggio l’economia.
Ali Mahdi continuò ad essere riconosciuto dalla comunità internazionale come legittimo capo dello stato transitorio della Somalia ma il conflitto con Aidid assunse dimensioni sempre maggiori, determinando l’intervento dell’ONU con due fallimentari missioni militari, che non riuscirono a riportare la pace in Somalia.
Tra il 1995 e il 2000 il paese restò di fatto senza un governo ufficialmente riconosciuto, transitando poi per la fase delle Corti Islamiche, del Governo Transitorio e infine della flebile ripresa.
Ali Mahdi continuò a lungo la sua lotta contro le milizie di Aidid, anche dopo la morte di questi nel 1996 e il passaggio dei poteri al figlio Hussein, finendo per assumere egli stesso il connotato di un Signore della Guerra, sebbene animato dalla volontà di sconfiggere l’arroganza e l’ambizione di Aidid, auto-proclamatosi presidente nel 1995.
Mentre la sua reputazione era considerata solidissima all’epoca del governo transitorio del 1991 in nome dell’USC, la successiva disputa con Aidid, spesso sfociata in questione personale, finì per attirargli numerose critiche, venendo accusato di essere un Signore della Guerra come gli altri e di non portare avanti la sua lotta in nome della Somalia unita.
Le critiche nei confronti di Ali Mahdi si inasprirono nel 2000, quando con la tregua di Gibuti firmata con il figlio di Aidid venne eletto alla carica di presidente transitorio il cugino di quest’ultimo, Abdiqassim Salad Hassan, in quella che a molti parve essere una mera spartizione del potere.
Ali Mahdi, tuttavia, uscito sconfitto alle elezioni di Gibuti, si impegnò a rispettarne il verdetto collaborando con le nuove istituzioni del governo transizionale, e tenne fede a questo impegno dimostrando la propria lealtà alla causa della stabilità somala e alla pace tra i clan dopo dieci anni di conflitto.
Restò in parlamento sino al 2004 per ritirarsi poi dalla politica con l’avvento delle Corti Islamiche, lasciando il paese per alcuni anni e ritornando poi a gestire i propri affari con il rispristino del governo di transizione. Proprietario di alcuni importanti alberghi della capitale, oltre che gestore di altre lucrose attività economiche, Ali Mahdi si divideva negli ultimi anni tra la Somalia e il Kenya.
Nonostante l’abbandono della vita politica da molto tempo, continuava a partecipare al dibattito nazionale soprattutto sulla stampa, dove, solo pochi giorni fa, aveva esortato i vertici della Somalia ad impegnarsi per organizzare pacifiche elezioni. “Nessuno può controllare questo paese con la forza”, aveva detto, “e quindi io mi appello a voi tutti, al vertice del governo, per organizzare elezioni libere e leali, perché l’alternativa potrebbe essere la guerra civile”.