Conosciamo a menadito composizione e spostamenti della delegazione di Mogadiscio, guidata dal Vicepremier Guled, che prenderà parte all’Aia alle udienze della Corte Internazionale di Giustizia sulla delimitazione del confine marittimo tra Somalia e Kenya. Il caso è in essere dal 2014 ed è in discussione tra il 15 e il 19 marzo. Dall’11 abbiamo appreso che quest’ultima non vi parteciperà.
Quali motivi ostativi Nairobi adduce la pandemia e un pregiudizio della Corte nel non voler rimandare (ulteriormente) i lavori; il gruppo di avvocati che segue il caso dal lato keniota – la cui composizione è mutata a febbraio – non sarebbe riuscito a prepararvisi adeguatamente; si reitera inoltre la richiesta già respinta di ricusare uno dei giudici. Poiché Nairobi ha già presentato le proprie argomentazioni, tutto ciò non impedisce l’emissione di una sentenza. Essa andrà trasmessa al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ed è inappellabile.
Il Kenya è ad ogni modo oggi un membro non permanente del Consiglio stesso. Se anche la vicenda che si trascina da un decennio dovesse dunque trovare una sistemazione, la sua applicazione pratica verosimilmente non sarà immediata. Si può esprimere l’auspicio che si recuperi il significato profondo della parola “confine”: di limite comune a partire dal quale sviluppare non l’isolamento ma la collaborazione. La realtà parla di un inasprimento della competizione.
Vi contribuiscono le incertezze politiche: dal lato somalo l’impasse sulle elezioni non è sciolta nonostante nuovi recenti incontri. Madobe Presidente dell’Oltregiuba ha incontrato a Mogadiscio l’ex Primo Ministro Khaire, il leader del partito di opposizione Wadajir Abdishakur e l’Inviato ONU Swan. Anche il Presidente del Puntland Deni è giunto nella capitale per colloqui – ma con una scorta armata di lanciarazzi.
Si cerca ancora di strutturare la contestazione al prolungarsi di fatto dell’interim del Presidente Farmajo. Il Ministro degli Esteri federale Abubakar si è invece recato ad Addis Abeba, per incontrare il Presidente della Commissione dell’Unione africana Mahamat e discutere della Missione AMISOM.
L’intervento della comunità internazionale è da tempo ritenuto l’elemento decisivo riguardo i nodi politici. Finora l’azione esterna è stata determinata solo sul lato degli attori massimalisti (Turchia, Emirati): quelli che più hanno investito nel Paese e nei suoi processi decisionali militari, economici e politici. Essi restano intenzionati a non cedere la mano – così prolungando la crisi.
La timidezza mostrata dagli altri (gli europei, gli statunitensi, le Nazioni Unite) può darsi sia in fase di riconsiderazione e vi è una attenzione maggiore alla regione soprattutto sul lato etiope. Gli Stati Uniti che restano il Paese-guida hanno attuato un ritiro che ripetono non è un disimpegno, ma il dossier somalo pare ancora ritenuto troppo “lontano” per una loro azione mirata. Ciò frena anche altri.
Il riflesso immediato di questo stallo è nell’andamento del terrorismo. Continuano infatti episodi puntiformi di violenza nel Medio e nel Basso Scebelli; si rinnovano gli attacchi nella capitale (ancora il 14 marzo); sono in aumento per quantità e qualità anche gli eventi nel Puntland. Una inversione di tendenza preoccupante per la regione.