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La strategia dell’Etiopia dinanzi all’incalzare della comunità internazionale, e i rischi nel rapporto con l’Eritrea

Il tentativo del premier dell’#Etiopia Abiy Ahmed di giustificare la presenza eritrea in Tigrai e allo stesso tempo ammettere la veridicità delle notizie sulle violenze, potrebbe determinare frizioni nel rapporto con l’Eritrea.

Abiy Ahmed ha alla fine ammesso la presenza delle truppe eritree in Tigrai. Nella dichiarazione resa in Parlamento il primo ministro etiopico ha ringraziato l’Eritrea per il contributo fornito, e ha inoltre reso noto che Asmara ritirerà presto le sue truppe dal paese, anche se non ha indicato nessuna data precisa.

La ragione ufficiale dell’intervento eritreo è stata secondo il premier quella di preservare l’integrità dei confini stabiliti dall’accordo tra i due paesi del 2018, e precedentemente contesi nella guerra del 1998-2000 proprio con la leadership del TPLF.

Dopo aver negato per mesi la presenza eritrea, l’ammissione da parte dei due paesi è stata data insieme all’annuncio del ritiro quando l’Etiopia sarà in grado di controllare la propria frontiera e la situazione in Tigrai. Una dichiarazione piuttosto generica, che non fornisce alcuna previsione precisa per il ritiro eritreo, alla luce anche del perdurare del conflitto con il TPLF, nonostante  le autorità etiopiche abbiano proclamato il successo dell’operazione lo scorso 28 novembre.

La mossa di Abyi Ahmed è animata dall’intento di stabilizzare la situazione nella regione, dopo che già da un mese è stata garantita l’apertura alle organizzazioni internazionali per la consegna degli aiuti alimentari, mentre il governo promette indagini sulle presunte violazioni dei diritti umani occorse durante il conflitto.

Le accuse alle truppe federali e a quelle eritree di violenze sessuali, furti ed esecuzioni sommarie aumentano costantemente, e nonostante l’apertura di un’indagine in merito la possibilità di far luce sulle accuse mosse appare ancora lontana.

L’obiettivo di Abyi Ahmed è con ogni probabilità quello di riportare la narrativa del conflitto in Tigrai entro un contesto che possa essere tollerato dall’opinione pubblica internazionale, e allo stesso tempo gli permetta di prendere le distanze dalle numerose accuse di violazione dei diritti umani.

In tal modo rischia tuttavia di attribuire all’Eritrea il peso delle responsabilità sulle violenze, compromettendo il legame sino ad oggi eccellente delle relazioni con Asmara ed esponendo il presidente Isaias Afewerki al rischio di un ulteriore e più incisivo isolamento internazionale.

Il 22 marzo l’Unione Europea ha sanzionato l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale Eritrea, mentre il Segretario di Stato americano ha definito come “atti di pulizia etnica” le azioni eritree in Etiopia.

Il primo ministro etiopico ha invece assicurato che ogni crimine commesso durante il conflitto, come ad esempio il presunto massacro commesso ad Axum denunciato all’inizio di questo mese da Human Rights Watch, sarà perseguito. Un’indagine congiunta tra l’ONU e la Commissione per i Diritti Umani Etiopica è stata sancita circa due settimane fa.

L’effettivo ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia potrebbe tuttavia rivelarsi più complesso del previsto, a dispetto degli gli annunci, in conseguenza soprattutto del perdurare del conflitto nella regione del Tigrai, e della volontà tanto etiopica quanto eritrea di risolvere in modo definitivo il problema posto dal ruolo del TPLF.

Andrea Cellai
Andrea Cellaihttps://meridiano42.it
Laureato magistrale in Relazioni Internazionali, con un peculiare interesse per le dinamiche economico-politiche del Corno d'Africa e in particolar modo dell'Etiopia.

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