Il 12 aprile, la saga politica sul mandato presidenziale della Somalia si è arricchita di un nuovo colpo di scena: a due settimane dalle proteste di alcuni deputati, la Camera Bassa del Parlamento ha esteso per due anni l’incarico di Presidente e Governo, con 149 voti su 275. Rinviate parimenti di due anni le elezioni, ciò che manterrebbe in carica i deputati stessi. I maggiorenti del Senato non hanno avallato la decisione, definita illegale.
Dalla loro parte sono i leader di opposizione, le Autorità regionali di Oltregiuba e Puntland, più in generale quanti contrastano sì la deriva centralista di Farmajo, ma anche la rinnovata prospettiva di un sistema elettorale diretto, che è la ratio cui è legata l’estensione. In verità essa impedirebbe a tanti di continuare ad esercitare un controllo sulla politica nazionale, potendone influenzare i passaggi indiretti.
La conseguenza immediata è stata la palpabile maggiore tensione a Mogadiscio, connessa a movimenti di uomini armati riconducibili all’ex responsabile della Polizia del Banadir Sadiq che tentavano di prendere il controllo di zone nevralgiche della capitale. Sadiq aveva diffidato i deputati dal prorogare il mandato di Farmajo e fatto appello al Premier Roble a farsi carico della transizione – per essere poi appunto esonerato dal Capo della Polizia somala gen. Hassan Hijar Abdi. L’indomani 15 aprile il gen. Koronto ha invece minacciato l’aeroporto internazionale della capitale, collegamento ombelicale con l’estero per il Paese.
La proroga del mandato costituirà senza dubbio una sorgente di ulteriori tensioni nelle settimane a venire. La tendenza a risolverle facendo ricorso a violenza può dar vita a veri e propri scontri armati, scaturiti da incidenti o incomprensioni o per il venir meno dell’autocontrollo che ancora caratterizza le fazioni, messo tuttavia alla prova dalle ultime mosse di Farmajo. Possono inoltre verificarsi nuovi atti di terrorismo a firma Al Shabaab, sempre pronto a trarre vantaggio da discordie di vertice, come già lungo la strada verso Jowhar (15 persone uccise il 14 aprile). Il timore di una reazione internazionale agirà invece da deterrente.
La Somalia resta alle prese con un dibattito polarizzato tra centralizzazione, autoritarismo e federalismo e tra suffragio indiretto o universale. Un secondo mandato per Farmajo costituirebbe una novità di rilievo e consentirebbe di ampliare il controllo del Governo federale sulla Somalia. Che egli ci arrivi con il sotterfugio è però sintomatico delle difficoltà ed è un vulnus sul percorso di normalizzazione. L’opposizione cercherà innanzitutto di contestare la legittimità di questa decisione, facendo leva sulle perplessità di centri di potere esterni – in primis statunitensi – per trasformare in sostanziale una eventuale vittoria formale.
Mentre la Somalia veniva citata dal Presidente Biden nel discorso sul ritiro dall’Afghanistan, il Segretario di Stato Blinken ha infatti condannato l’estensione e fatto cenno a sanzioni o restrizioni sui visti, mentre il Presidente della Commissione esteri del Senato USA Menendez affermava la proroga fosse incostituzionale. AMISOM, IGAD, Unione Africana, Unione Europea e una serie di Governi quali Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito hanno riecheggiato la valutazione negativa e prospettato una revisione delle politiche di aiuto e cooperazione.
Difficile che europei, britannici o statunitensi possano accettare senza battere ciglio un isolamento che darebbe maggior impulso alla Turchia, o aumenterebbe la collaborazione con la Cina (siglato il 17 aprile un memorandum a tal fine – in Somalia si useranno vaccini cinesi contro il COVID19). Men che meno essi possono esporsi sul lato umanitario.
L’azzardo di Farmajo, che si è visto respingere il 17 aprile l’invito all’opposizione a un colloquio, per riprendere un negoziato da posizione di forza, resta però tale. Esso può ancora condurre la Somalia a un peggioramento dei suoi equilibri interni e con l’esterno.