Il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ned Price, ha affermato il 22 aprile scorso che gli USA non hanno alcuna evidenza del ritiro delle truppe dell’Eritrea dal Tigrai etiopico, nonostante le assicurazioni fornite da Asmara al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pochi giorni prima.
È tornato sull’argomento il 26 aprile, poi, anche il Segretario di Stato, Antony Blinken, nel corso di un colloquio telefonico con il primo ministro etiopico Abiy Ahmed.
Blinken ha espresso timori per quella che ha definito come “una imminente catastrofe umanitaria”, conseguente al rapido deterioramento della stabilità nella regione del Tigrai e alle continue violazioni dei diritti umani.
Nel corso della stessa telefonata, il Segretario di Stato USA ha chiesto anche l’immediato ritiro delle truppe eritree dal Tigrai, chiedendo una verificabilità del ripiegamento entro i confini eritrei, ritenendo tanto queste unità quanto quelle etiopiche degli Amhara responsabili di un significativo “contributo” tanto nel perpetrare violazioni sistematiche dei diritti umani quanto nella determinazione di quello che ha reiteratamente definito come un “disastro umanitario”.
Gli Stati Uniti hanno invece ufficialmente nominato Jeffrey Feltman come inviato speciale per il Corno d’Africa, informando il governo etiopico di una sua imminente visita nella regione.
Nessuna reazione da parte di Asmara ad oggi alle accuse lanciate da Washington contro l’Eritrea, né attraverso il Ministero della Comunicazione né attraverso la rappresentanza diplomatica presso le Nazioni Unite, che rappresenta solitamente l’elemento più attivo nella gestione delle repliche alla comunità internazionale.
Ha destato interesse lo scorso 15 aprile, invece, un articolo pubblicato dalla rivista online britannica Africa Confidential, secondo la quale l’Etiopia e l’Eritrea starebbero vagliando la possibilità di costituire una federazione dei due stati, tornando di fatto ad una sorta di federalismo paragonabile a quello che caratterizzò la storia dei due paesi dal 1952 al 1960.
Africa Confidential basa la sua analisi sull’interpretazione di un recente discorso pronunciato dall’Ambasciatore Dina Mufti, portavoce del ministero degli affari esteri di Addis Abeba, che ha recentemente commentato in modo controverso il sentimento eritreo connesso alla festa di indipendenza del 24 maggio, sostenendo come questa data simbolica non rappresenti in realtà per gli eritrei la separazione dall’Etiopia.
Secondo la rivista inglese le affermazioni di Mufti – che ha poi dovuto ritrattare e porgere le proprie scuse – rappresentano non tanto il pensiero del portavoce, quanto una ricorrente narrativa politica già in atto da tempo.
Mufti, in sintesi, avrebbe commesso l’errore di offendere il nazionalismo eritreo e il forte sentimento nazionale connesso alla lunga guerra di liberazione, mentre la sua intenzione sarebbe stata quella di sostenere la tesi di un sentimento comune tra i due popoli che avrebbe poi favorito e spinto in direzione di una federazione tra i due Stati.
Africa Confidential, nel sostenere questa interpretazione dei fatti, richiama al progetto già in atto per la creazione di un Consiglio del Corno d’Africa dell’Etiopia, Eritrea e Somalia, idealmente costituito dai tre paesi come alternativa all’IGAD e necessariamente esteso a comprendere in futuro anche il Sud Sudan.
Una parte fondamentale di questo patto regionale, secondo il giornale inglese, verterebbe sulla cooperazione militare tra Etiopia ed Eritrea, legittimando in tal modo la presenza delle forze di Asmara nel Tigrai ed eventualmente in qualsiasi altra regione dell’Etiopia.
Un’ipotesi, quella di Africa Confidential, che appare allo stato attuale come di difficile percorribilità, gravata da pesanti ipoteche storiche e politiche tra i due paesi e, non ultimo, di gestione estremamente complessa qualora dovesse essere effettivamente realizzata.