Il 30 aprile il ministero dell’Informazione dell’Eritrea ha pubblicato sul proprio sito web il testo di un documento a firma del ministero degli Esteri, dal titolo “Il Corno d’Africa: sfide e opportunità”, attraverso il quale ha voluto delineare una propria analisi del quadro regionale fornendo spunti per interpretare la visione dell’Asmara sulla complessa evoluzione delle dinamiche che la coinvolgono sul piano regionale.
Il documento ricorda inizialmente il contesto di euforia che, trent’anni fa, caratterizzava l’intera area del Corno d’Africa al termine del lungo periodo della Guerra Fredda, nella prospettiva di una stabilità e di uno sviluppo che sembravano essere non solo alla portata ma ormai imminenti.
Questa euforia ha gradualmente lasciato spazio ad un realismo derivante dalla constatazione di come la fine della Guerra Fredda non avesse aperto spazi di crescita ma, al contrario, consolidato le mire egemoniche dei principali attori globali, in una realtà fluida che ha caratterizzato costantemente l’evoluzione dei tre decenni successivi.
Il documento eritreo, poi, ritiene che i principali “gruppi e segmenti di potere” degli Stati Uniti siano stati caratterizzati da “ambizioni e impulsi egemonici” finalizzati a consolidare l’avvento di un sistema unipolare a guida statunitense, attraverso la partizione del pianeta in “sfere di influenza” controllate e gestite da “surrogati” del potere centrale di Washington, determinando le condizioni di crisi che oggi caratterizzano l’intera regione.
Questa visione egemonica, secondo l’Eritrea, si è articolata attraverso sette principali condotte politiche, quali “(1) la violazione della sovranità dei popoli e delle nazioni; (2) la violazione flagrante del diritto internazionale; (3) l’interferenza negli affari interni di altri paesi; (4) il ricorso all’intimidazione e alla logica della forza; (5) l’indurre la paralisi dei forum regionali e internazionali per renderli suscettibili di dominio; (6) alimentare le crisi, i conflitti e la polarizzazione per gestire la situazione caotica che ne deriva; (7) proliferazione di norme attitudinali e culturali di demonizzazione, condanna, sanzioni, punizione”.
Tutto ciò, secondo il documento, ha comportato nella regione l’emergere e il consolidarsi di una polarizzazione che a sua volta ha favorito l’esplosione di ulteriori fattori di crisi, come il terrorismo, i conflitti etnici e la diffusa corruzione politica.
Il documento, forte di questo lungo preambolo, introduce quindi l’elemento centrale della propria tesi, sostenendo che la soluzione a questi problemi indotti dal sistema globale nella regione debbano essere risolti dai paesi della regione stessa, giustificandosi in tal modo l’adozione di qualsiasi “rimedio efficace” intrapreso da singoli paesi o attraverso sforzi collettivi.
Affinché la stabilità regionale torni ad essere garantita, quindi è necessario condurre queste azioni senza che “interferenze esterne” possano alterarne l’esito, favorendo anzi l’impegno ad una collaborazione su basi nuovi e costruttive.
Il documento ricorda come l’Eritrea abbia fornito all’amministrazione USA del precedente presidente Trump – a riprova della propria buona fede – uno studio in cui indicava i motivi dell’insuccesso del dialogo bilaterale tra i due paesi nel corso delle tre precedenti amministrazioni Obama, Bush e Clinton, richiamando all’importanza di questo documento e invitando a considerarlo come la base per una sincera ricostruzione del rapporto.
È quindi con un invito al presidente Biden di “intraprendere i necessari aggiustamenti nelle politiche che traccia per il Corno d’Africa” che si conclude il documento, sottolineando come l’Eritrea abbia cercato di perseguire un impegno attivo in questa direzione.
Il testo redatto dal ministero degli Esteri di Asmara desta interesse per diverse ragioni. In primo luogo si manifesta palesemente come il tentativo – sebbene secondo i canoni della tradizione eritrea – di comunicare con gli Stati Uniti, rompendo l’insostenibile strategia del silenzio e cercando di spiegare le ragioni che hanno portato all’intervento eritreo nel Tigrai etiopico.
Le forti pressioni internazionali esercitate dal Segretario di Stato Blinken, e la determinatezza nel non voler accettare la palese negazione della presenza delle forze eritree nel Tigrai, hanno determinato un’impasse politiche che è stata gestita in modo diverso dall’Etiopia e dall’Eritrea. Mentre ad Addis Abeba il primo ministro Abiy Ahmed ha scelto l’ingaggio immediato, aprendo alla comunicazione e alla – almeno dichiarata – volontà di voler fare chiarezza sulla condotta del conflitto e sui crimini ad esso associati, all’Asmara si è scelto per lungo tempo di adottare una strategia del silenzio che, tuttavia, non è stata proficua per l’immagine del paese.
La comunicazione del ministero degli Esteri pubblicata sul sito del ministero dell’Informazione, quindi, rappresenta il tentativo del governo eritreo di modificare la propria strategia comunicativa, lanciando un appello all’amministrazione Biden affinché comprenda la cause profonde della crisi che ha portato al conflitto nel Tigrai, adottando un approccio alle relazioni con l’Eritrea costruito su basi nuove, come – si intuisce – si stavano delineando con la precedente amministrazione Trump.
Un progresso importante, sul piano generale, che tuttavia rischia di sortire pochi effetti a Washington, a meno che non venga accompagnato da un’apertura di ben più ampia portata al dialogo bilaterale con gli Stati Uniti. Aver negato la propria partecipazione al conflitto in Tigrai per lungo tempo e non aver ingaggiato la comunità internazionale con una adeguata capacità di persuasione sulle cause che hanno portato al coinvolgimento eritreo nel conflitto contro il TPLF, hanno determinato un grave danno per la percezione del ruolo eritreo. L’apertura dimostrata dalla pubblicazione di questo documento rappresenta pertanto un fatto importante, ma non certo sufficiente a risolvere il contesto di crisi entro cui muove il paese.