Una vera doccia fredda per il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta ein merito al referendum per l’approvazione del suo progetto di riforma costituzionale denominato BBI – Building Bridge Inititaive.
Dopo essere già stato approvato tanto dall’Assemblea Nazionale che dal Senato, lo scorso 14 maggio cinque giudici dell’Alta Corte del Kenya hanno affermato che il disegno di legge sull’emendamento della Costituzione presenta elementi di irregolarità di tale portata da renderlo incostituzionale.
La Building Bridge Initiative è stata concepita e presentata come strumento per il superamento delle divergenze politiche che portarono alle violenze post-elettorali del 2017, ampliando la sfera del potere esecutivo a discapito di quello legislativo, ma che in molti hanno criticato ritenendolo uno strumento per premiare e compensare gli schieramenti politici. In particolar modo pesano sul disegno di legge della BBI pesanti critiche in relazione ai costi della sua attuazione, che in molti ritengono insostenibili per la capacità finanziaria dello Stato.
Il progetto di riforma, in modo particolare, prevede l’istituzione della carica di Primo Ministro e del relativo ufficio politico, la costituzione di circa 70 nuovi collegi elettorali e una clausola affermativa che potrebbe portare all’incremento di 300 deputati non eletti. Una riforma che le opposizioni ritengono costruita sulla volontà di ampliare la sfera d’azione dei partiti politici di maggioranza, ritenendola insostenibile finanziariamente.
La sentenza dell’Alta Corte del Kenya è stata trasmessa televisivamente in una diretta di quattro ore nell’ambito delle quali i giudici hanno accusato il presidente Kenyatta di aver costituito un comitato costituzionale per la definizione della riforma in modo del tutto illegale, inficiando di conseguenza ogni azione connessa all’operato di tali organo. La raccolta di firme promossa dal presidente Kenyatta per sostenere l’iniziativa referendaria, in particolar modo, non avrebbe rispettato il presupposto della promozione per iniziativa popolare, coinvolgendo invece il governo nella conduzione di un’iniziativa che costituzionalmente non gli è propria.
La Corte ha aggiunto di essere impegnata nel considerare la possibilità di citare a giudizio personalmente lo stesso presidente Kenyatta.
Appare a questo punto difficile ipotizzare una capacità del governo di impugnare vittoriosamente la sentenza dell’Alta Corte, determinandosi al tempo stesso un grave problema di credibilità per il presidente Kenyatta, che aveva investito sul progetto di riforma presentandolo come una sorta di sua personale eredità politica.
La decisione dell’Alta Corte determina adesso un nuovo contesto elettorale per il prossimo anno, dove le forze di opposizione a Uhuru Kenyatta, e soprattutto il vicepresidente William Ruto, potranno capitalizzare la decisione dell’Alta Corte per determinare nuovi e sino a pochi giorni fa imprevedibili equilibri.