Il Segretario di Stato USA, Antony J. Blinken, ha annunciato il 24 maggio che una serie di sanzioni saranno applicate dagli Stati Uniti nei confronti dei responsabili del conflitto in Tigrai. Sanzioni che dunque riguardano sia le autorità etiopiche, sia quelle eritree che lo stesso TPLF: l’obiettivo è dunque quello di cercare di portare al tavolo i tre attori per cercare una soluzione diplomatica e far cessare il conflitto.
Secondo Blinken l’azione internazionale è necessaria, a questo punto della crisi, in quanto “nessuno degli attori coinvolti ha fatto passi concreti per porre fine alle ostilità”. Le sanzioni, di cui ancora non si conosce con esattezza l’entità precisa, riguardano sia aiuti economici che militari forniti dagli Stati Uniti all’Etiopia ma anche restrizioni sui visti a persone direttamente coinvolte nel conflitto, di qualunque schieramento facciano parte – anche delle forze regionali Amhara.
Le richieste statunitensi sono di porre fine alle ostilità, portare a processo i responsabili delle violazioni dei diritti umani e il ritiro definitivo delle truppe eritree, minacciando ulteriori sanzioni qualora le domande espresse dagli USA non vengano soddisfatte.
La risposta etiopica non si è fatta attendere e durante la stessa giornata, Addis Abeba ha accusato Washington di ingerenza nei propri affari interni, minacciando che, nel caso le sanzioni continuino, “sarà forzata a rivedere le proprie relazioni con gli Stati Uniti, le quali potrebbero avere conseguenze non solo sulla nostra relazione bilaterale”.
L’Etiopia è infatti il paese di riferimento degli USA nel Corno d’Africa e il più grande ricettore di aiuti statunitensi nell’area sub-sahariana, e inoltre contribuisce con numerosi soldati alle missioni di peacekeeping dell’Unione Africana, rappresentando di fatto un elemento importante nella lotta contro il terrorismo nella regione.
Il 21 maggio l’Etiopia ha informato che quattro soldati sono stati condannati per aver ucciso dei civili e per stupro, mentre sta procedendo per gli stessi crimini verso altri 53 membri delle proprie forze armate. Un’azione tuttavia non sufficiente agli Stati Uniti, che hanno scelto la strada delle sanzioni soprattutto per costringere al negoziato le parti del conflitto, attraverso una strategia cui il 24 maggio l’Etiopia ha risposto in modo piuttosto perentorio: “il governo non può essere costretto a sedersi e negoziare con il TPLF, che è un’organizzazione terroristica”.
Le dichiarazioni etiopiche, inoltre, criticano anche le sanzioni per il loro tempismo in quanto minano ulteriormente la già contestata posizione del premier Abiy Ahmed, il quale cerca la riconferma nelle elezioni nuovamente previste per il prossimo giugno. Nonostante i problemi logistici citati nelle settimane precedenti, infatti, è stato comunicato dal governo federale che le elezioni si terranno a giugno, non il 5 come inizialmente previsto bensì il 21, e dunque la condanna statunitense potrebbe far vacillare ulteriormente la posizione di Abiy Ahmed anche se ad oggi non sembra che ci siano altri partiti in grado di rivaleggiare allo stesso piano del Partito della Prosperità.
Dopo mesi di crescenti accuse all’Etiopia e di controverse risposte, quindi, la comunità internazionale sembra aver intrapreso la rigida strada delle sanzioni, lasciando presagire l’intenzione di voler perseguire una condotta poco incline al compromesso tanto con Addis Abeba quanto con l’Asmara.