Il 3 giugno la portavoce del primo ministro dell’Etiopia, Billene Seyoum, ha annunciato che le truppe eritree di stanza in Tigrai hanno iniziato a ritirarsi. Dopo le continue pressioni da parte della comunità internazionale, e l’ammissione della presenza eritrea da parte del premier Abiy Ahmed in marzo, questo sembra essere il vero primo passo verso il raffreddamento della crisi in Tigrai.
Billene Seyoum ha inoltre negato che affamare la popolazione sia stata usata deliberatamente come una strategia di guerra. Un simile atto infatti sarebbe da considerarsi una violazione del diritto umanitario internazionale, ed anzi il governo etiopico sta lavorando alacremente con molte organizzazioni, fra cui il World Food Program (WFP), per sostentare le necessità del popolo tigrino.
La portavoce ha poi concluso la dichiarazione affermando che l’Etiopia è sotto un attacco diplomatico da parte TPLF e dei suoi sostenitori occidentali, definiti “spocchiosi per natura, spesso paternalistici nel tono, belligeranti nell’approccio e distruttivi nel risultato”.
L’affermazione della portavoce di Abiy Ahmed si inserisce però in un contesto che non sembra fargli eco. Il direttore di UNOCHA, l’agenzia ONU che coordina gli affari umanitari, Mark Lowcock ha infatti affermato che in Tigrai si teme il ripetersi della devastante carestia del 1984 in Tigrai. Un paragone che, dal punto di vista umanitario, è davvero tragico e che sotto l’aspetto politico equipara di fatto il governo di Abiy Ahmed alla dittatura militare del Derg, la quale fu accusata proprio di usare la carestia come strumento di guerra per sconfiggere il TPLF.
Lowcock ha affermato che le prime morti correlate all’assenza di cibo sono già in atto e che, nonostante le dichiarazioni etiopiche, è tuttora difficile portare aiuti alimentari alla popolazione tigrina. Ha poi concluso esortando le nazioni del G7 ad inserire la crisi del Tigrai nell’agenda del summit che si svolgerà dall’11 al 13 giugno a Cornwall in Inghilterra.
Il contesto in Tigrai, secondo le informazioni fornite dal WFP, è alquanto precario. L’agenzia ONU afferma che il 91% della popolazione tigrina, ovvero 5.2 milioni di persone, è in emergenza alimentare e che, dall’inizio delle operazioni in marzo, è riuscita a raggiungere solo 1 milione di persone. Il WFP sta facendo il possibile per raggiungere queste persone in difficoltà, ma, come esemplificato dalle affermazioni di Lowcock “l’accesso per i lavoratori umanitari è spesso bloccato da uomini armati e da ciò che i loro leader politici gli dicono di fare”.
La situazione, nel suo complesso, sembra ancora essere lontana dalla stabilità, anche in seguito alle notizie di questa settimana secondo le quali numerosi scontri nelle campagne tigrine sarebbero stati provocati dall’azione di unità del TPLF ancora alla macchia.