Migliaia di sudanesi si sono riversati nella strade di Khartoum lo scorso 3 giugno per chiedere ancora una volta giustizia per le vittime delle dimostrazioni popolari del 2019.
La manifestazione, organizzata nel secondo anniversario delle proteste che portarono alla caduta del regime di Omar al-Bashir, è stata organizzata per iniziativa di comitati popolari che chiedono a gran voce l’istituzione di una commissione di inchiesta sulle violenze e l’individuazione dei responsabili.
Numerosi esponenti delle forze armate e delle milizie che parteciparono alla repressione del 2019 sono ancora in servizio nell’apparato di sicurezza del paese, determinando imbarazzo per il governo civile e difficoltà per le autorità militari, che cercano in questa delicata fase di transizione verso la costituzione di un esercito unitario di impedire derive interne all’apparato di sicurezza.
Le manifestazioni dimostrano come i sentimenti popolari verso il desiderio di una effettiva transizione democratica del paese non siano sopiti e, anzi, restino attivamente vigili nel sollecitare soprattutto le autorità civili di governo l’impegno per una piena e rapida transizione.
Numerosi esponenti della politica e delle istituzioni sudanesi hanno apertamente appoggiato le manifestazioni dello scorso 3 giugno, spingendo il primo ministro Abdalla Hamdok ad affermare pubblicamente come gli intensi sforzi del governo per accertare la verità dei fatti e assicurare alla giustizia i responsabili si siano spesso scontrati con quello che ha definito come il “complicato rapporto” con le autorità militari, che ha indubbiamente rallentato l’azione di giustizia e la diffusione delle informazioni.
Allo stesso tempo, a preoccupare il governo è anche la recrudescenza delle violenze nella regione del Darfur, dove scontri tribali hanno provocato tra il 6 e il 7 giugno la morte di almeno 36 persone.
Le violenze sono iniziate nella parte meridionale del Darfur, ancora una volta alimentate dalle rivalità tra le comunità arabe dei Taaisha e quelle africane dei Falata, in quella che sembra essere l’inarrestabile spirale di violenza artificialmente alimentata dal precedente regime a partire dal 2003 con l’intento di marginalizzare le componenti etniche africane.
I nuovi scontri hanno determinato l’esigenza per il governo di inviare rinforzi militari nell’area della capitale provinciale del Darfur Meridionale, Nyala, complicando il difficile processo negoziale che l’attuale governo cerca di promuovere con la maggior parte delle milizie che da anni si fronteggiano nella regione.