Le celebrazioni per l’indipendenza (1° luglio) prenderanno il via in Somalia già il 26 giugno. Il programma è diretto da un Comitato appositamente nominato dal Premier Roble reduce dai fasti dell’accordo per le elezioni. È un segno di normalità da sottolineare.
Secondo i passaggi concordati, il 2 giugno è iniziato il processo di nomina e vaglio dei componenti della Commissione elettorale. Anche l’Oltregiuba ha provveduto a indicare i suoi otto delegati: Madobe ha anzi bruciato sul tempo gli altri leader regionali e per primo ha ottemperato a questo passo.
Si procede dunque sulla via della normalizzazione? Dopo otto mesi di inutili travagli, è bene tutto quel che finisce bene?
Molto resta ancora da fare. L’alveo politico somalo ha di certo dimostrato nei fatti una rinnovata capacità di risolvere in autonomia le divergenze; la tensione può però trasferirsi ora nel Forum consultivo, nella promessa applicazione della “quota rosa” al 30%, nella scelta della data per il votoo nella relazione tra le Autorità federali e Oltregiuba, Puntland e Somaliland.
Un elemento di competizione resta proprio con Berbera, che il 4 giugno ha annunciato i risultati della propria competizione elettorale, con un leggero ritardo attribuito a difficoltà logistiche e con la vittoria alle legislative dell’opposizione. Diversi media internazionali salutano “il piccolo Stato che potrebbe diventare grande, sesologlielo si lasciasse fare”, anche se Roble era riuscito a strappare a Bihi una previsione di accordo al 2022. Questa prospettiva eccede le possibilità di calcolo degli attuali leader, ma evidenzia le tante sfumature che compongono un quadro molto complesso.
L’improvvisa solerzia di Madobe non deve ad esempio far sottovalutare l’irrisolta situazione nel Gedo – dove tuttora restano truppe federali il cui ruolo andrà definito da una Commissione ad hoc. Come Farmajo, anche Madobe e Deni si sono indeboliti a vicenda nel lungo e inutile testa a testa; come il Presidente, tutti hanno infine capitolato. Un buon accordo è quello in cui ciascuno ritiene di aver perduto qualcosa, senza troppi rimpianti e in vista di un obiettivo superiore. È quello che a una settimana dalla cerimonia del 27 maggio appare essere stato raggiunto a Mogadiscio.
La moderazione mostrata dal Sheikh Mohamud dopo un incidente al suo convoglio fatto oggetto di tiri d’arma da fuoco da militari federali – egli ha resistito agli incitamenti a farne un caso politico – è d’altra parte un buon segnale per i mesi a venire. Tutti dovranno fare mostra di pazienza e autocontrollo almeno paragonabili.
L’Esercito è invece avanzato contro gli Al Shabaab e sottratto diversi villaggi al controllo estremista nel Medio Scebelli. Morti circa 70 militanti, vi sono state diverse perdite anche tra le filadei militari e tra queste vi è il col. Abdi Wahid, Comandante della 60a Brigata cui è andato il cordoglio del premier stesso. A Mogadiscio, un kamikaze si è lasciato esplodere in un mercato di Dharkeley, uccidendo tre persone e ferendone 23.
L’andamento del terrorismo e quello della sicurezza nella capitale sono i due elementi che meglio possono indicare, nel breve e nel medio termine, se la stabilizzazione è destinata a cementarsi.