HomeEtiopiaNell’Etiopia al voto, il Partito della Prosperità è dato per vincente

Nell’Etiopia al voto, il Partito della Prosperità è dato per vincente

Il 21 giugno si sono tenute in #Etiopia le #elezioni legislative e regionali, in un clima di instabilità e tensione che ha portato al rinvio del voto in 64 collegi e dove non è ancora chiaro quando si potrà votare nel #Tigrai. Il Partito della Prosperità del primo ministro #Abiy Ahmed è dato per vincente.

Si è votato il 21 giugno in Etiopia per eleggere i rappresentanti dell’assemblea legislativa e delle regioni, pur in un clima caratterizzato ancora dalle tensioni per il conflitto in Tigrai e dalle violenze etniche che interessano alcuni degli stati federali.

Non sono ancora stati diramati i dati statistici del voto, come l’affluenza alle urne e la distribuzione del voto nei diversi stati federali, in attesa di poter completare il conteggio delle schede anche nelle aree di più remote del paese.

Quasi 37 milioni di etiopici si sono registrati per recarsi alle urne, ma il voto è stato rinviato al 6 settembre in 64 collegi e non è ancora stato annunciato ufficialmente quando si potrà votare nei 38 collegi del Tigrai.

I risultati dello spoglio delle schede saranno annunciati il 1° luglio, sebbene sia largamente attesa una vittoria del partito do governo del primo ministro Abiy Ahmed, il Partito della Prosperità, accusato da alcuni partiti dell’opposizione di aver manipolato il processo elettorale attraverso violenze e intimidazioni.

Il principale sfidante del partito del primo ministro è l’Ethiopian Citizen for Social Justice, che tuttavia non è riuscito a candidarsi in tutti i distretti, mentre la gran parte delle altre formazioni politiche è di estrazione etnica e ha presentato quindi le proprie liste solo all’interno dei rispettivi stati di appartenenza.

Alcuni partiti hanno deciso di boicottare le elezioni, denunciando l’impossibilità di condurre una vera campagna elettorale in conseguenza del clima di tensione che interessa buona parte del paese, definendo le elezioni del 21 giugno come un plebiscito pre-organizzato per il primo ministro Abiy Ahmed.

In particolar modo in Oromia, dove si eleggono 178 dei 574 seggi del parlamento federale, il boicottaggio da parte delle forze di opposizione ha determinato la candidatura del Partito della Prosperità come unica forza politica nella gran parte dei collegi, dopo la denuncia da parte dei partiti locali dell’arresto di numerosi esponenti politici, di minacce e intimidazioni tali da pregiudicare il sereno svolgimento delle elezioni. L’Oromia, che è la regione federale più popolosa del paese – e di cui è originario il primo ministro Abiy Ahmed – rappresenta per il governo uno dei più importanti distretti elettorali.

La peculiarità di questo contesto elettorale è data dalla natura stessa dei partiti che si fronteggiano nelle urne, caratterizzati da agende politiche molto diverse tra loro e che vedono contrapporsi il partito nazionalista della Prosperità – caratterizzato da un’agenda fortemente verticista e centralista dello Stato – ad una pluralità di partiti di matrice etnica che al contrario intendono rafforzare le prerogative periferiche e autonomiste degli stati federali.

Peserà fortemente sulla validità del risultato delle elezioni la mancata partecipazione degli osservatori europei, dopo che l’Unione Europea si è rifiutata di inviare i propri in conseguenza di un contenzioso insorto con le autorità etiopiche in merito al divieto da parte di Addis Abeba di autorizzare l’importazione di tecnologia di telecomunicazione satellitare. Il rapporto tra l’Unione Europea e l’Etiopia si è logorato fortemente nel corso degli ultimi mesi in conseguenza anche del sempre più aspro dibattito con l’Etiopia in merito alle violenze nel Tigrai e al perdurare delle violazioni dei diritti umani.

La presenza degli osservatori inviati dall’Unione Africana non costituirà con ogni probabilità condizione sufficiente a garantire la trasparenza del voto, con il rischio di contestazioni che potranno avere larga eco anche sul piano internazionale. Gli osservatori dell’Unione Africana hanno tuttavia confermato il 23 giugno come a loro giudizio le elezioni si siano svolte in un contesto caratterizzato da trasparenza e liceità di gestione dei seggi. Il comunicato diramato dall’African Union Election Observer Mission (AUEOM), considerando le condizioni entro le quali si sono svolte le elezioni nel paese, ha giudicato il sistema di gestione del voto e di spoglio delle schede come “ordinato, pacifico e credibile”, invitando le diverse forze politiche a non voler contestare il risultato elettorale all’indomani dell’annuncio ufficiale, “non sussistendo elementi atti a ritenerle falsate o fraudolente”.

L’AUEOM ha anche invitato la comunità internazionale a continuare a sostenere il processo di riconciliazione nazionale avviato dalle autorità di governo presiedute dal primo ministro Abiy Ahmed, favorendo la capacità soprattutto delle organizzazioni di rappresentanza della società civile, i partiti politici e le organizzazioni umanitarie.

Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha sostenuto che le elezioni in Etiopia si siano svolte in un clima di grave instabilità, non garantendo un processo elettorale libero ed equo per tutti gli elettori. Al tempo stesso, tuttavia, ha anche condannato il boicottaggio delle elezioni da parte dei partiti di opposizione, elogiando al contrario tutti coloro che hanno ritenuto necessario esercitare il proprio diritto di voto.

Anche la responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha espresso le proprie riserve sulle condizioni che hanno caratterizzato il voto in Etiopia, sostenendo che “pace, democrazia e diritti umani saranno i tre principali argomenti di cui si dovrà occupare il primo ministro dell’Etiopia dopo le elezioni”. Michelle Bachelet ha anche accennato alla ripresa delle violenze nella regione etiopica del Tigrai, accusando tanto il governo quanto le forze dell’ex TPLF di aver commesso gravi atrocità e continue violazioni dei diritti umani.

Nicola Pedde
Nicola Pedde
Nicola Pedde è il Direttore dell’Institute for Global Studies. Dopo gli studi in Giurisprudenza ha conseguito un Master in International Relations e un PhD in Geografia Economica, concentrando il suo interesse professionale sull’evoluzione delle dinamiche politiche e di sicurezza dei paesi del Golfo Persico.

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