Il National Election Board of Ethiopia (NEBE) ha comunicato il 10 luglio i risultati ufficiali delle elezioni politiche tenutesi il 21 giugno scorso. La comunicazione è giunta con quasi dieci giorni di ritardo rispetto ai termini stabiliti dai regolamenti elettorali, ufficialmente in conseguenza della difficoltà di procedere allo spoglio dei voti in numerosi seggi periferici.
Delle 547 circoscrizioni elettorali che esprimono un deputato, 101 non hanno potuto votare per problemi di sicurezza e instabilità, lasciando in tal modo indeterminato il 18% circa dei seggi parlamentari.
Dei restanti 436 seggi, il Partito della Prosperità di Abiy Ahmed ne ha conquistati ufficialmente 410, garantendo in tal modo al primo ministro il rinnovo del mandato per ulteriori cinque anni.
Il Movimento Nazionale degli Amhara ha ottenuto 5 seggi, mentre il partito d’opposizione Cittadini Etiopici per la Giustizia Sociale ne ha ottenuti 4. Il segretario di quest’ultima formazione ha denunciato brogli segnalando oltre 200 irregolarità e intimidazioni in altrettante stazioni elettorali. 2 seggi sono stato conquistati dal Partito Democratico del Popolo Gedo, mentre i restanti 15 sono andati a candidati indipendenti.
Nessun seggio è stato invece assegnato ad altre 4 formazioni politiche che hanno concorso alle elezioni, il Mederek, il Fronte di Liberazione Nazionale dell’Ogaden, il Partito dell’Unità dell’Etiopia il Balderas.
Il governo ha affermato di aver indetto per il 6 settembre una nuova tornata elettorale per poter svolgere regolarmente le operazioni di voto nelle aree dove non è stato possibile condurle lo scorso 21 giugno, ma appare pressoché impossibile che questo possa avvenire nella regione del Tigrai, recentemente riconquistata dalle forze militari del locale partito di governo, il TPLF.
Il primo ministro, Abiy Ahmed, ha descritto le elezioni come “inclusive”, annunciando la formazione del nuovo governo entro il prossimo mesi di ottobre.
La vittoria elettorale non si traduce necessariamente in stabilità politica e di governo, in una fase di gravissima crisi militare, umanitaria ed economica che, scaturita dal conflitto in Tigrai, interessa oggi buona parte del paese.
Non è solo la perdurante conflittualità in Tigrai ad allarmare e indebolire la capacità politica del primo ministro Abiy Ahmed, ma anche le possibili imminenti conseguenze nella regione dell’Amhara, il malcontento e la protesta nello regione dell’Oromia e, più in generale, la crisi economica gravata dai costi esorbitati del conflitto.
La crisi umanitaria in atto nella regione del Tigrai e le difficoltà della sua gestione, spingono la comunità internazionale a mantenere vivo l’interesse sul paese e ad esercitare pressioni sul governo di Abiy Ahmed e su quello del presidente eritreo Isaias Afewerki affinché mantengano fede all’impegno di lasciare la regione e favorire l’afflusso degli aiuti umanitari e delle organizzazioni preposte alla distribuzione dei beni di prima necessità e all’assistenza sanitaria.
Il timore di molti degli analisti che seguono le vicende dell’Etiopia è oggi concentrato sulla capacità di tenuta del sistema istituzionale perseguito dal premier Abiy Ahmed, ispirato al tentativo di favorire una centralizzazione nazionalista del potere politico a danno dello storico federalismo etnico.
L’esperienza del conflitto in Tigrai, ma anche le tensioni sviluppatesi in molti degli stati federali del paese, dimostrano come il progetto politico del premier sia non solo complesso e delicato ma anche e soprattutto molto pericoloso sul piano della stabilità, venendo apertamente osteggiato dalla gran parte delle comunità etniche che compongono l’articolato mosaico del paese.
Nelle elezioni in #Etiopia, con 410 seggi su 436 assegnati in queste elezioni, il Partito della Prosperità del primo ministro #Abiy Ahmed si afferma come forza politica vincitrice, assicurando un secondo mandato di cinque anni al premier. La solidità del governo è tuttavia fortemente compromessa dalla crisi militare in #Tigrai e da quella economica.
Di Nicola Pedde,
su Meridiano 42