Il raid di un drone USA in Somalia è l’eccezione che conferma la regola, o è una nuova regola? L’episodio è avvenuto il 20 luglio, ricorrenza dell’Eid al-Adha, presso Galkayo. Qui truppe speciali somale si erano trovate sotto attacco di terroristi Al Shabaab.
Si è trattato del primo attacco ordinato durante l’Amministrazione Biden. A gennaio, quest’ultimo aveva annunciato nuovi vincoli ad azioni con droni, se al di fuori di teatri di guerra. Si conferma per ora la linea di prudenza sin qui adottata: gli USA hanno smentito infatti di aver avuto proprie unità a terra e affermano che per il raid non sia stata richiesta alcuna specifica autorizzazione presidenziale.
Si osserva tuttavia che il dossier somalo non esce mai del tutto dai radar della politica statunitense. Ciò per l’interesse manifesto al Corno d’Africa, dove gli equilibri generali sono rimessi in discussione e dove il terrorismo può ancora rappresentare un problema che si ramifica alla scala continentale.
Un secondo raid è avvenuto infatti il 23 luglio. Sebbene non si abbiano dettagli ufficiali sull’evento, collegato alla avvenuta avanzata di Forze governative nel Galmudug, anche qui si lascia trapelare che l’autorizzazione sia stata confinata ai Comandi di AFRICOM (Comando militare statunitense per l’Africa).
I raid aerei e a distanza sono criticati, non solo in Somalia – da chi ne denuncia i limiti e gli effetti collaterali – quanto anche all’interno degli Stati Uniti, ad esempio da deputati di origini somale. Il pieno ritorno al passato appare perciò difficile. Un contrasto più diretto e pubblicizzato può tuttavia essere una risposta alla recente crescita delle attività degli Al Shabaab e un supporto all’azione del Premier Roble.
Colpi di mortaio erano caduti nuovamente su Mogadiscio, questa volta nel compound di AMISOM (Missione dell’Unione Africana in Somalia) nell’aeroporto Internazionale Aden Adde (21 luglio). Si discute peraltro proprio in questi giorni dell’estensione oltre dicembre 2021 della Missione – e della formula che essa avrà. Ad ora la Somalia ne declina il ventilato ampliamento del ruolo oltre quello di mantenimento della pace.
Questi eventi sono legati a filo doppio al processo elettorale, in avvio dal 25 luglio con le nomine dei senatori da parte dei Governatori. Da un lato, la propaganda del terrorismo ribadisce la contrarietà a un esercizio ritenuto sterile; l’avversione è concretizzata in ovvie minacce di attacchi imminenti. I candidati alla presidenza saranno d’altra parte chiamati ad esprimersi sulla prosecuzione del contrasto alla violenza – e in quali termini.
Fawzia Yusuf Adam, ancora l’unica candidata alle presidenziali di ottobre, lancia a questo proposito una proposta di riconciliazione nazionale, non inedita seppure sinora sempre soccombente al fazionalismo. Riuscire a estenderla anche ai terroristi significherebbe che il Paese è entrato in una nuova fase, voltando pagina non solo sulla strategia militare, quanto anche più complessivamente sul governo delle zone rurali neglette, sulle prospettive di integrazione tra centro e periferia, sul rapporto con i Governi confinanti.
Si tratta di dinamiche di più lungo periodo; una decisione del premier Roble va tuttavia in questa direzione. Il Premier ha infatti allontanato dalle loro mansioni due funzionari di vertice dell’intelligence nazionale (NISA): il Vicedirettore dell’Agenzia stessa e il Responsabile dell’aeroporto Aden Adde. Ritenuti vicini al Presidente Farmajo, la loro rimozione era stata chiesta da forze di opposizione, in relazione al divieto opposto all’ex Governatore del Gedo di decollare dall’aeroporto. Un rapporto sereno con le opposizioni passa per forza di cose per la neutralità delle Forze di sicurezza, pilastri di un percorso di normalità per il Paese.