Il 5 agosto il primo ministro del governo sudanese, Abdalla Hamdok, si è proposto al governo etiopico quale mediatore tra il governo federale di Addis Abeba e quello regionale del Tigrai, per la soluzione del grave conflitto in corso nel paese.
L’iniziativa sudanese, volta a garantire la possibilità di un dialogo mediato, è stata presa – sebbene non ufficialmente – con il sostegno dell’Igad, degli Stati Uniti e di alcuni paesi europei, preventivamente informati della proposta, così come l’Eritrea. Abdalla Hamdok e il Segretario di Stato USA Antony Blinken si erano incontrati a Khartoum il 4 agosto, in occasione del vertice Igad.
Per il Sudan, la possibilità di svolgere un ruolo attivo nella mediazione sulla crisi nel Tigrai significherebbe anche poter esercitare una capacità negoziale parallela sulle questioni della diga del GERD e della contesa territoriale sull’area dell’al Fashaga, perseguendo un indirizzo di moderazione nella linea negoziale che ha sempre distinto e differenziato l’azione di Khartoum da quella del Cairo.
In questo contesto, il 6 agosto il Sudan ha annunciato per il tramite dell’agenzia stampa SUNA di voler avviare trattative con l’Etiopia per l’acquisto di 1.000 megawatt di elettricità, in aggiunta ai 200 megawatt che vengono già importati nel paese. Una mossa costruita politicamente con l’intenzione di definire un quadro negoziale autonomo rispetto all’Egitto sulla questione del GERD, impostato sulla capacità di mediazione diretta e la collaborazione
Proprio questi fattori terzi rispetto alla questione del Tigrai, tuttavia, hanno pesato nella valutazione dell’offerta da parte del governo di Addis Abeba, che, attraverso la portavoce del primo ministro Abiy Ahmed, Billene Seyum, ha declinato l’offerta sudanese definendola “complicata” e difficilmente gestibile in conseguenza della sfiducia dell’Etiopia che reputa il Sudan una controparte “non credibile” dopo le incursioni sudanesi nell’area dell’al Fashaga.
Il rifiuto etiopico e le formule verbali con le quali è stato comunicato hanno destato un forte nervosismo in Sudan, spingendo il primo ministro Hamdok l’8 agosto a richiamare a Khartoum per consultazioni il proprio ambasciatore ad Addis Abeba, Gamal al-Sheikh, sebbene reiterando la speranza di un ripensamento etiopico sull’offerta.
Il timore del primo ministro Hamdok è quello di un fallimento della linea politica della conciliazione fortemente promossa dal suo governo, fornendo in tal modo alle componenti militari il pretesto per chiedere al contrario che la linea della fermezza regoli i rapporti di confine con l’Etiopia, con il rischio di un’escalation tanto nell’area del Benishangul-Gomuz quanto in quella dell’al-Fashaga.