Il bilancio delle violenze etniche dell’1 e 2 agosto a Gibuti, che hanno visto confrontarsi le comunità dei Somali e quelle degli Afar, secondo fonti della Lega Gibutiana per i Ditti dell’Uomo (LDDH) avrebbero provocato 15 morti e decine di feriti.
Lo stesso rapporto accusa le forze di sicurezza del paese di aver strumentalizzato e gestito la violenza della comunità dei Somali contro la minoranza Afar, con il risultato di una nuova fase di escalation tra i due principali gruppi etnici del paese.
Il rapporto diramato il 13 agosto dalla LDDH sostiene che la polizia di Gibuti sia impegnata da mesi in una politica ostile alla comunità Afar, e che la tensione sia poi arrivata al culmine lo scorso mese di luglio, quando alcuni giovani residenti dei quartieri di Warabeleh e PK 12 sono stati arbitrariamente arrestati e percossi dalle forze di polizia.
Il clima di violenze avrebbe portato poi all’incendio intenzionale di 25p abitazioni della comunità Afar, con l’esplosione della violenza che il 1° e il 2 agosto ha portato agli scontri diffusi nella città di cui ha riferito buona parte della stampa internazionale.
La LDDH accusa senza mezzi termini di queste violenze il presidente Omar Guelleh, a loro giudizio animato dalla volontà di consolidare il proprio potere attraverso la conflittualità etnica tra la maggioranza degli Issa del ceppo Somalo e gli Afar. Dello stesso avviso anche le opposizioni politiche, che rincarano la dose accusando la comunità internazionale di tacere sul ruolo del presidente e delle violenze in virtù degli interessi connessi alla presenza delle basi militari e del porto.
Nel corso dell’ultima settimana, infine, due attentati dinamitardi sono stati compiuti a Gibuti contro altrettante stazioni di polizia, rivendicati da un’organizzazione Afar che si firma come FRUD – Fronte per la Restaurazione della Democrazia. L’ultimo attacco è stato condotto il 15 agosto contro una stazione di polizia nel villaggio di Asal, a 55 Km dalla capitale, provocando la distruzione dell’edificio.