Fare un passo in avanti per poi doverne fare uno indietro è un bene o un male in politica? Un esempio di questo dilemma lo si ritrova nella visita ufficiale del Premier della Somalia Roble a Nairobi, per incontri con il Presidente Kenyatta e la comunità somala. La missione nasce da un invito ufficiale, pervenuto al Premier da quella Ministro agli Esteri Omamo, per approfondire le discussioni in tema di commercio, sicurezza e relazioni bilaterali – anche su temi prosaici, come i visti – già affrontate a Mogadiscio a livello di Ministri degli Esteri.
La visita è stata cordiale e i due leader politici hanno concordato il ripristino delle relazioni, richiamando una visione di sviluppo unitaria come viatico di stabilità. Nell’incontrare poi la comunità somala in Kenya Roble stesso ha affermato che i flussi commerciali e gli investimentipotranno riprendere “a breve”: un tema caro agli imprenditori che fanno leva su lavoratori transfrontalieri, o che partecipano degli ampi traffici bilaterali di cui la pianta del khat – classificata tra gli stupefacenti a livello internazionale, il commercio è oggi fermo – è un semplice eponimo.
All’indomani dell’incontro la presidenza keniota ha poi diffuso su reti social un comunicato, che è stato tuttavia immediatamente motivo di nuove tensioni prima di essere frettolosamente corretto. Kenyatta aveva voluto inserirvi un riferimento al contenzioso sulla definizione della frontiera marittima ora innanzi alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia. Nel comunicato si riferiva come nel corso dei colloqui fosse stata discussa la richiesta del Kenya di una soluzione “amichevole”.
Roble è dovuto intervenire perché fosse rispettato “il reale andamento” dell’incontro e dunque tolto il riferimento a ipotesi di accordo extragiudiziale care a Nairobi. Il Premier somalo ha negato con decisione di aver discusso del tema e dunque chiuso nuovamente la porta a una intesa su questo tema.
La vicenda esemplifica il reale punto odierno delle relazioni tra Nairobi e Mogadiscio: dopo le boutade del recente passato e l’invito a Nairobi di leader somali regionali in luogo di quelli nazionali è utile a entrambe le leadership ripristinare un livello minimo di convivenza. Ciò impone anche che a Mogadiscio si rinunci a facili consensi tramite la sterile denuncia delle interferenze di Nairobi, provando invece a salvaguardare quanto si può di un rapporto bilaterale dal quale è impossibile prescindere, seppure sbilanciato.
L’arresto a Nairobi di tre sospetti terroristi ricercati in Egitto e Somalia indica che la cooperazione può procedere su altri fronti. Dopo Nairobi, Roble potrebbe in effetti recarsi proprio in Egitto, per una nuova missione che apre o proverà ad aprire anche altri canali di cooperazione internazionale, anche se in possibile competizione con altri pesi massimi delle relazioni esterne somale come Etiopia e Turchia. Quest’ultima ha donato nella settimana in considerazione altro materiale militare alle controparti somale.
Procede nel frattempo la nomina di senatori – dal SudOvest e dal Puntland. Entrambi gli Stati hanno completato la comunicazione dei contendenti alla propria rappresentanza nella Camera Alta e risaltano alcune assenze, come quelle dell’ex Premier Sharmarke o quell dell’ex Ministro per la Pianificazione e la Comunicazione Jurile. Restano invece in corsa l’ex Presidente del PuntlandFarole, o componenti del gabinetto del Presidente regionale Deni – che com’è sua facoltà usa i propri poteri di nomina per influenzare la composizione dei seggi e dunque della futura attività parlamentare.
In questo quadro continuano a sussistere anche minacce di terrorismo, con attività concentrata nel centro-sud del Paese. Fa capolino anche la pirateria, con la denuncia di un avvicinamento sospetto avvenuto a circa 100 mn al largo di Mogadiscio. Queste minacce restano funzione di più complessi equilibri interni e regionali.