Il governo di Gibuti teme in modo crescente la possibilità di un’espansione del conflitto interno in Etiopia verso i propri confini, e soprattutto teme che il più pericoloso effetto di questa crisi possa riverberarsi sulle già tese relazioni tra la maggioranza somala e la minoranza Afar.
Dopo gli scontri delle scorse settimane tra le due comunità registratisi nella capitale e in alcuni villaggi della periferia, il governo gibutiano ha cercato di stemperare la tensione avviando alcune azioni atte a favorire la distensione.
Nei giorni scorsi, a Tadjoura, la seconda città più importante del paese e popolata da una consistente comunità etnica Afar, il governo ha voluto issare sui palazzi governativi la bandiera dello stato regionale etiopico dell’Afar, in segno di solidarietà dopo la notizia delle vittime provocate dalle milizie tigrine.
Un segnale distensivo che difficilmente tuttavia riuscirà a placare le tensioni che covano sotto la cenere del piccolo stato del Corno d’Africa, dove il ruolo della comunità maggioritaria di etnia somala, e del clan Issa, esercita il potere in modo pressoché esclusivo.
Ulteriore elemento di preoccupazione per Gibuti è quello derivante dalla crescente conflittualità tra le etnie dei Somali e degli Afar anche in Etiopia, lungo il confine tra i due stati regionali che li dividono, e dove transitano sia l’asse stradale che il tratto terminale della ferrovia che collega Addis Abeba a Gibuti.
Lungo questa direttrice viene movimentato il 95% delle merci esportate o dirette in Etiopia e tanto ad Addis Abeba quanto a Gibuti si teme che le forze tigrine del TPLF stiano alimentano la conflittualità tra le due comunità locali, al fine di interrompere i flussi delle merci.
Gibuti, già interessato da disordini e sporadici scontri lungo i suoi confini, cerca di correre ai ripari con una tardiva azione riconciliatoria sul piano della convivenza etnica nazionale, senza tuttavia proporre alcuna reale proposta di riforma in chiave democratica e pluralista per il paese.