Lo scorso 17 settembre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un Ordine Esecutivo con il quale definisce un nuovo piano di sanzioni contro l’Etiopia, l’Eritrea, la regione del Tigrai e quella dell’Amhara.
Tale decisione è stata presa a seguito del costante peggioramento delle condizioni della sicurezza nella regione del Tigrai, dove, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale, continuano gli scontri tra le forze tigrine del TPLF e le unità militari del governo federale, dell’Eritrea e della regione Amhara.
Il perdurare degli scontri ha determinato una insostenibile crisi sotto il profilo umanitario, che si aggiunge alle sempre più numerose testimonianze di violenze, stupri e saccheggi, imponendo una più incisiva azione al fine di obbligare le parti al rispetto del cessate il fuoco annunciato lo scorso giugno.
Le disposizioni dell’Ordine Esecutivo firmato dal presidente Biden prevedono l’autorizzazione per il Segretario del Tesoro di irrogare sanzioni contro chiunque venga identificato come responsabile o complice delle violenze perpetrate a qualsiasi titolo nell’Etiopia settentrionale, siano essi individui (e loro parenti), istituzioni, partiti, agenzie od organi dello Stato o delle singole amministrazioni regionali.
Le specifiche sanzioni previste includono invece il blocco dei beni negli Stati Uniti di tutti i soggetti potenzialmente interessati dalle disposizioni sanzionatorie, il divieto per ogni individuo o entità pubblica o privata degli Stati Uniti di intrattenere rapporti con gli individui o le entità sanzionate, l’estensione ai vertici di ognuno degli individui o entità sanzionate l’obbligo di rispetto delle specifiche sanzioni e, più in generale il blocco e il congelamento di beni e transazioni ad ampio spettro e il divieto di ingresso negli Stati Uniti.
Sanzioni molto ampie e suscettibili di un livello di implementazione di fatto capace di coinvolgere i vertici stessi tanto del governo dell’Etiopia e dell’Eritrea, quanto quelli delle amministrazioni regionali del Tigrai e dell’Amhara.
Le sanzioni disposte nell’Ordine Esecutivo del 17 settembre 2021 sono di fatto eseguibili con immediatezza da parte del governo degli Stati Uniti, che ha tuttavia lanciato un ultimatum alle parti coinvolte nel conflitto, riservandosi di dare piena applicazione qualora le violenze non dovessero cessare entro i prossimi giorni.
Si tratta di sanzioni molto flessibili ma al tempo stesso potenzialmente decisamente invasive, capaci di compromettere la capacità personale dei vertici dello stato etiopico ed eritreo e colpire al tempo stesso le istituzioni e le personalità di vertice, determinando un totale isolamento dei paesi e delle entità coinvolte.
Non si tratta, in sostanza, di un semplice blocco delle possibilità di interazione con gli Stati Uniti, ma – come l’esempio delle sanzioni all’Iran ha insegnato – di un ben più ampio ventaglio di manovre coercitive capaci di coinvolgere tutti i paesi, enti e società che intrattengono rapporti economici con gli Stati Uniti. Una maglia di isolamento potenzialmente capace di stringersi capillarmente intorno ai vertici istituzionali dei due paesi, determinando conseguenze sinora inimmaginabili.
A questo si aggiunge la possibilità di escludere l’Etiopia dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), che consente importazioni esenti da dazi e che per Addis Abeba vale circa 100 milioni di dollari l’anno e un indotto occupazionale stimato intorno alle 100.000 unità.
Gli Stati Uniti hanno volutamente ritardato l’applicazione delle nuove sanzioni in attesa della nomina del nuovo governo etiopico, che dovrebbe essere costituito successivamente al 4 ottobre, volendo in tal modo concedere un’ultima finestra di opportunità ad Abiy Ahmed per individuare una soluzione per la gestione del conflitto e l’effettiva applicazione di un cessate il fuoco.
Ben consci della difficoltà di revocare le sanzioni una volta irrogate, gli Stati Uniti hanno disposto un piano di adozione vincolato all’effettiva evoluzione della crisi in corso nel Tigrai, offrendo tanto all’Etiopia quanto all’Eritrea la possibilità di una effettiva azione in direzione della cessazione delle ostilità e della piena capacità da parte delle organizzazioni umanitarie di distribuire gli aiuti umanitari nel Tigrai.
Questo, verosimilmente, determinerà una finestra di opportunità di alcune settimane, fissando l’effettivo termine per l’eventuale piena adozione delle sanzioni a partire dai primi giorni del prossimo mese di novembre.
Ciononostante, il piano per l’attuazione di un’effettiva strategia negoziale appare al momento alquanto complesso e laborioso, complice la contestuale posizione del governo del Tigrai, convinto di poter conseguire risultati militari sul terreno capaci di indurre Addis Abeba ad una maggiore flessibilità negoziale.
Il governo etiopico mantiene in questa fase una posizione di cautela, temendo l’adozione delle nuove sanzioni ma anche cercando di valutare le possibilità di aggiramento delle stesse, soprattutto attraverso la valutazione delle intenzioni di tre grandi attori internazionali potenzialmente interessati a contrastare l’efficacia delle sanzioni di Washington.
La Cina, la Russia e la Turchia, infatti, mantengono sulla questione dell’Etiopia un profilo ambiguo, dichiarandosi interessate a favorire il dialogo ma anche valutando l’opzione di conseguire risultati attraverso il boicottaggio delle sanzioni degli Stati Uniti. Posizione percepita nitidamente da Addis Abeba, che in tal modo guadagna tempo ritenendo percorribile l’opzione di una strategia orientata a conseguire un ultimo risultato pratico sul piano militare prima che la minaccia concreta delle sanzioni USA imponga un reale impegno nel perseguimento di una tregua e di un percorso negoziale con il Tigrai.