16 tra gruppi politici e milizie armate hanno firmato lo scorso 2 ottobre a Khartoum, in Sudan, un nuovo accordo denominato Carta del Consenso Nazionale per l’Unità delle Forze della Libertà e del Cambiamento.
La formazione di questa nuova alleanza si pone come separata rispetto al principale blocco a guida civile del paese, e ne fanno parte, tra gli altri, il Movimento di Liberazione del Sudan guidato dal governatore del Darfur Minni Minnawi, il Movimento Giustizia ed Eguaglianza guidato dall’attuale ministro delle finanze Gibril Ibrahim, il Movimento di Liberazione Kush guidato da Muhammad Daoud Bandak, il Movimento per la Liberazione del Popolo del Sudan – Nord (SPLM-N) guidato da Ismail Jalab, e l’Alleanza Democratica per la Giustizia Sociale guidata da Ali Askouri.
La nuova formazione si pone come alternativa a quella delle Forze per la Libertà e il Cambiamento (FFC), costituita nel 2019 all’indomani della caduta del regime di Omar al-Bashir, giudicata soprattutto da Minni Minnawi e Gibril Ibrahim come dominata dal ruolo in particolar modo di quattro formazioni politiche: l’Associazione dei Professionisti Sudanese (SPA), le Forze del Consenso Nazionale (NCF), la Chiamata per il Sudan (SC) e l’Alleanza Unionista (UG).
Secondo quanto affermato da Minni Minnawi nel corso della riunione in cui è stata istituita la nuova alleanza politica, le quattro formazioni che dominano primariamente il FCC hanno sistematicamente marginalizzato le altre forze, frustrandone le aspettative e spingendole ai margini della politica. Secondo Minnawi questo predominio ha portato ad un sistema di nomine delle cariche pubbliche del tutto sbilanciato e ingiusto, di cui chiede la revisione.
Il portavoce delle forze armate, Tahir Haja, ha commentato positivamente l’esito della riunione sul sito Facebook dell’Esercito sudanese, ritenendo positiva la scelta del nuovo gruppo di voler tornare ai principi originari di consenso ed uguaglianza del movimento politico che ha rovesciato il precedente regime.
Nessun commento pubblico è stato invece espresso dagli altri firmatari dell’accordo di pace di Juba, dove presumibilmente si potrebbero determinare ulteriori adesioni alla nuova formazione.
L’evoluzione politica sudanese è caratterizzata in questa fase da crescenti tensioni, soprattutto dopo il recente tentativo di colpo di Stato che ha dimostrato come sia ancora consistente nell’ambito delle Forze Armate il ruolo degli ufficiali legati all’ex regime islamista.
Più in generale, tuttavia, le autorità civili di governo ritengono che per completare il processo di transizione democratica in atto sia necessario che le Forze Armate accettino di sottomettersi alle istituzioni civili di governo del paese, rinunciando alle ben radicate ambizioni di potere. Questo processo di transizione, a detta dello stesso primo ministro Abdalla Hamdok, è bel lontano dall’essere completato, mentre i militari non accennano a diminuire in alcun modo il loro potere e l’evidente intenzione di rappresentare anche in futuro l’elemento centrale del potere esecutivo del paese. Questione parimenti spinosa è quella connessa al ruolo economico delle Forze Armate, che controllano una vasta rete di industrie e società capaci di generare enormi profitti, e delle quali le autorità civili chiedono il trasferimento sotto il controllo del governo di transizione. I vertici militari si erano impegnati lo scorso marzo a favorire una transizione del controllo delle aziende parte del loro network, sebbene poi questo impegno sia rimasto disatteso.
Il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, ha replicato alle accuse del primo ministro Hamdok accusandolo di ingratitudine per quanto fatto dalle Forze Armate a garanzia della stabilità del processo di transizione, ricordando quanto concreto sia ancor oggi il rischio connesso da una parte alle forze del terrorismo islamista e dall’altra a quelle lealiste dell’ex dittatore Omar al-Bashir.