Eletti nella capitale i senatori del Somaliland (30 settembre), quell’autoproclamato Governo rigetta l’avvicinamento a Mogadiscio e minaccia di arrestare chi sia stato scelto per rappresentare lo Stato regionale nelle istituzioni nazionali, bollato come “traditore” e “disertore”. Il processo verso nuove relazioni con Hargheisa procede per strappi, noti agli attori: velleitario credere si tratti di un processo granché condiviso, lungo un percorso che ancora nel medio periodo vedrà irrisolta la diatriba tra centralismo e regionalismo in Somalia.
L’alveo politico resta alle prese con l’irrisolta tensione di vertice tra Presidente e Primo Ministro, che mantiene su di sé la sintesi dell’interesse interno – e anche esterno, risaltano in ultimo le dichiarazioni USA – a ricercare una soluzione tendenziale al conflitto e a organizzare il voto. Ciascuno tenta sempre di piegare tali esiti a proprio vantaggio – come testimoniato dalla fuga in avanti avallata dal Presidente uscente del Senato Hashi (che risulta tra i senatori eletti) e dal vicepremier Mahdi.
Le divergenze politiche con Farmajo continuano perciò a rafforzare Roble, ma in maniera non ancora decisiva. Egli stesso deve porre attenzione a non trascurare la propria terzietà nell’imminenza dell’avvio del voto per la Camera Bassa, atteso dal 10 ottobre ma verosimilmente soggetto a rinvii. Roble ha incontrato alcuni comandanti di polizia e dell’AMISOM e chiesto loro di accelerare le operazioni di sicurezza nelle per il voto. Le questioni sul tavolo resteranno dunque configurate ancora a lungo.
Non è nemmeno questo il problema più pressante, quanto nel brevissimo tempo la ripresa dei contagi da COVID19; 20mila i casi e 1.100 i decessi, almeno secondo le parzialissime stime ufficiali. Un nuovo impianto per la produzione di ossigeno medico a Mogadiscio è un tentativo di arginare la scarsità di presidi e dunque il moltiplicarsi del loro costo.
Eventi violenti sono occorsi nell’interno e nel Gedo, teatro peraltro di bombardamenti aerei costati la vita a due civili. Si confermano le difficoltà di un approccio puramente militare alle violenze, che andrebbero contrastate anche sul piano socio-economico perché sia possibile conseguire risultati positivi di lungo periodo.