Il principale scalo portuale del paese, Port Sudan, è da quasi tre settimane paralizzato per la protesta e l’occupazione da parte di manifestanti mobilitati dall’Alto Consiglio per le Tribù di Beja, presieduto da Sayed Tirik, che rappresenta sei delle tribù della regione nord orientale del paese.
Le tribù che hanno intrapreso la protesta lamentano la scarsa attenzione delle autorità del Governo di Transizione verso la regione nord orientale del paese, che ritengono sacrificata dagli accordi di Juba del 2020, e pongono alcune condizioni alle autorità di Khartoum per far cessare il blocco del porto e delle strade di collegamento ai terminal di carico sul Mar Rosso.
Seyed Tirik, alla guida della tribù Handendawa, contesta il contenuto dell’Eastern Sudan Track contenuto negli accordi Juba, che, secondo L’Alto Consiglio Beja consegna il Sudan orientale nelle mani di attori regionali e internazionali animati da mere ambizioni speculative, con il rischio di determinare “un importante cambiamento demografico nella regione, che minaccerà la sovranità e la sicurezza nazionale del Sudan”.
Le richieste di Tirik alle istituzioni di Khartoum sono estremamente impegnative e includono la deposizione del primo ministro Abdalla Hamdok, l’annullamento degli accordi di Juba e la sospensione di tutti i progetti in corso nella regione, inclusi quelli del settore minerario ed agricolo.
Richieste inaccettabili per il governo, soprattutto a fronte del blocco di Port Sudan, che sta causando al paese una gravissima crisi degli approvvigionamenti, facendo registrare penuria di medicinali, generi alimentari e carburanti.
La crisi del porto di Port Sudan ha alimentato numerosi sospetti nella capitale del paese, dove da giorni le tribù dell’Alto Consiglio del Beja sono accusate di essere alleate con le forze islamiste vicine al deposto dittatore Omar al-Bashir, e di complottare segretamente con le unità delle forze armate vicine a quelle che pochi giorni fa hanno cercato di compiere un colpo di stato.
Il rischio, allo stato attuale, è che l’intransigenza nella condotta della protesta determini una crisi di proporzioni tali da costringere il governo all’uso della forza, con la possibilità di una degenerazione della violenza certamente non auspicabile in questa difficile fase di transizione della politica sudanese.