Si è molto parlato sin dallo scoppio del conflitto in Etiopia lo scorso novembre della possibilità, e poi della probabilità, di una carestia nella regione del Tigrai dove gli scontri fra TPLF e le forze federali si sono svolti. Il conflitto è ancora in atto e sembra anzi ben lungi dal concludersi brevemente, come il governo federale aveva annunciato dopo un mese di scontri. Vi è anche una carestia o no? Alex de Waal, fra i più accreditati studiosi dell’area, ci fornisce il suo punto di vista in merito.

Quasi un anno è passato dall’inizio del conflitto e, nonostante i ripetuti allarmi della comunità internazionale ed in particolar modo dell’ONU, ancora non è stata ufficialmente dichiarata una carestia nella regione. Anche se, come riportato in queste pagine, i camion degli aiuti faticano ad arrivare e dai frequenti report di UNOCHA sembra che l’insicurezza alimentare si stia allargando a macchia d’olio alle regioni limitrofe.

Le ultime notizie di prima mano dal Tigrai, grazie ai vari reporter dislocati sul campo, sono a dir poco preoccupanti. Negli ospedali di Macallè si riportano casi di numerosi bambini con evidenti segni di malnutrizione, nei villaggi limitrofi già a gennaio scorso il vescovo di Adigrat dichiarava che erano numerosi le morti per fame mentre in giugno un altro villaggio riportava 125 morti per carestia. Le famiglie che arrivano a Macallè odiernamente, dopo settimane di viaggio a piedi, affermano di essersi nutriti di una dieta di foglie e radici durante il cammino. Il direttore dell’Ayder Hospital di Macallè, afferma che infermieri ed infermiere arrivano al lavoro con una manciata di grano tostato per tutto il giorno mentre i loro stessi bambini sono malnutriti. Inoltre essendo le banche chiuse da giugno anche i salari non sono stati pagati e i prezzi dei beni di prima necessità, invece, continuano ad aumentare.

I livelli di malnutrizione – 20% dei bambini in agosto, mentre recentemente ben il 79% delle donne in gravidanza – sono comparabili a quelli registrati durante la carestia in Somalia del 2011, la quale ha mietuto ben 250.000 vittime.

L’ultimo report commissionato dall’ONU e stilato dal FRC (Comitato per la Revisione delle Carestie), un’agenzia indipendente, ha formulato quattro scenari e sembra già che il più grave sia in corso. Il rischio di una carestia a largo raggio nel caso la guerra continui e l’aiuto umanitario sia lieve, insieme alla chiusura delle banche e al blocco dei beni di prima necessità, è medio alto a fine settembre, mentre alto dopo questo mese. L’FRC ha anche richiesto di poter svolgere più indagini sul campo per raccogliere maggiori informazioni, ma questo non è stato possibile.

Il TPLF e la FDRE si sono scambiati accuse sulla responsabilità di questa carestia: da una parte il governo accusa un’infestazione di locuste lo scorso anno per le condizioni attuali della poopolazione, il TPLF dichiara che grazie alla propria vittoria ha permesso ai contadini di piantare il raccolto. I funzionari dell’ONU affermano che la politica di blocco della regione da parte del governo è la radice del problema.

Il 29 settembre, il direttore di UNOCHA, Martin Griffiths ha affermato in merito alla carestia che: “è causata dall’uomo; può essere rimediata dal governo” e dopo due giorni il governo ha espulso sette funzionari dell’ONU. Il predecessore di Griffiths, Mark Lowcock, fino a settimana scorsa non aveva rilasciato dichiarazioni sulla situazione, intervistato dalla PBS ha risposto alla domanda “è il governo etiopico che sta provando ad affamare il Tigrai?” semplicemente “Sì”.

Siccome l’ONU non ha la possibilità di raccogliere informazioni precise sul campo, riguardanti i livelli di malnutrizione e di mortalità per poi paragonarli agli standard per dichiarare una carestia, sta esitando a chiamarla una carestia ufficialmente.

Al di là dei tecnicismi, come evidenziato dai dati riportati in questo articolo secondo Alex de Waal, la “domanda non è più se c’è una carestia in Tigrai, ma in quanti moriranno di fame prima che questa sia fermata”.

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