L’inviato speciale per il Corno d’Africa del governo degli Stati Uniti, Jeffrey Feltman, si è recato la settimana scorsa in visita nella regione, incontrando il 3 novembre il vice primo ministro e ministro degli esteri Demeke Mekonnen per avviare quelli che ha definito come tentativi di stabilire “negoziati discreti” tra le parti.
Ogni tentativo di convincere il premier Abiy Ahmed della necessità di un negoziato sembra tutta essere fallito, come ha confermato anche il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, che ha confermato alla stampa di aver parlato con il premier lo scorso 3 novembre offrendo il suo personale impegno per avviare colloqui e far cessare le violenze. Il primo ministro Abiy Ahmed avrebbe declinato ogni offerta di Guterres, convincendo quindi il Consiglio di Sicurezza dell’ONU della necessità di organizzare nella giornata del 5 novembre una riunione straordinaria, nell’ambito della quale si è formalmente chiesto all’unanimità alle parti di cessare le violenze e cercare la strada del dialogo.
Il Segretario di Stato USA Antony Blinken ha avuto il 6 novembre un colloquio telefonico con il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, con il quale ha discusso delle principali questioni della sicurezza regionale e in particolar modo dell’evoluzione della crisi in Etiopia.
Entrambi hanno espresso le proprie preoccupazioni per l’evoluzione del conflitto e per l’impossibilità di di promuovere un efficace dialogo tra le parti al fine di sospendere le violenze in atto. Il Kenya nutre inoltre il concreto timore di una crisi umanitaria capace di generare flussi incontrollabili di profughi nella regione, con il rischio di aggravare ulteriormente il già precario stato degli equilibri regionali.
Il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta aveva già lanciato il 3 novembre scorso un invito alle parti in guerra perché cessassero immediatamente le violenze e cercassero la via del dialogo, chiedendo soprattutto al governo federale dell’Etiopia e al primo ministro Abiy Ahmed di agire in direzione di una effettiva tregua.
Il Kenya teme fortemente non solo la possibilità di dover gestire ampie masse di profughi, ma anche la concreta possibilità di violenze all’interno del proprio territorio in conseguenza dello scontro tra i diversi gruppi che si combattono in Etiopia. Il 4 novembre, in tal senso, il portavoce della Polizia del Kenya, Bruno Shioso, ha invitato tutti i cittadini a prestare attenzione ed esercitare il controllo dei propri quartieri, al fine di segnalare alla Polizia ogni possibile evento sospetto.
Il timore del Kenya è quello di violenze potenzialmente generate da cittadini o profughi etiopici di diversi gruppi etnici, sulla scia della crescente retorica della violenza e dell’odio registrata in questi ultimi mesi in Etiopia.
La retorica politica del primo ministro Abiy Ahmed ha infatti assunto toni preoccupanti soprattutto nel corso delle ultime settimanei, ed in particolare degli ultimi giorni, quando ha definito i tirgini come topi, invitando la popolazione a “seppellirli nelle loro tane”. Messaggi prontamente censurati dai principali social media, che offrono tuttavia il quadro della sempre più tesa gestione della crisi.
Secondo fonti non confermate, migliaia di cittadini di etnia tigrina residenti nella capitale e nelle regioni dell’Oromia e dell’Amhara sarebbero state arrestate e detenute in località segrete, attraverso una profilazione etnica che alimenta ulteriori timori d violenza.
Numerose ambasciate, infine, hanno chiesto al proprio personale non essenziale di lasciare il paese, non nascondendo il timore di una possibile prossima escalation nella capitale, invitando i propri cittadini a non recarsi in Etiopia.