La controffensiva delle forze anti-governative in Etiopia viene rinvigorita dalla costituzione di un fronte comune che unisce molte delle formazioni politiche e militari che si oppongono al governo del premier Abiy Ahmed.
L’ipotesi di una sanguinosa battaglia urbana per la conquista di Addis Abeba appare improbabile allo stato attuale, a favore invece della possibilità di una sorta di assedio regionale teso a strangolare economicamente il governo federale.
Qualora il governo del Partito della Prosperità di Abiy Ahmed dovesse essere sconfitto, tuttavia, si aprirebbe una ulteriore fase di crisi determinata dalla volontà del Tigrai di tenere un referendum per la propria indipendenza, che sarebbe con ogni probabilità osteggiata dalla gran parte degli stati regionali, e quindi anche dagli attuali alleati del TPLF.
Non ultimo, non è da escludersi che il Tigrai intenda regolare definitivamente i conti con l’Eritrea, per evitare il rischio di nuovi conflitti ma anche per poter contare su un governo amico che apra i propri confini permettendo al futuro stato indipendente del Tigrai di non rischiare l’isolamento.
Una coalizione sfida il premier Abiy Ahmed
Nove gruppi di opposizione al governo federale guidato dal primo ministro Abiy Ahmed hanno annunciato lo scorso 4 novembre di aver formalmente dato vita ad un’alleanza dal nome Fronte Unito delle Forze Federaliste e Confederaliste d’Etiopia (UFEFCF), allo scopo di intervenire nella crisi in atto nel paese e per fermare quello che definiscono come il “governo genocida” di Addis Abeba.
Le organizzazioni che hanno dato vita al patto di alleanza per rovesciare il governo del Partito della Prosperità di Abiy Ahmed sono in parte formazioni politiche regionali e in parte milizie armate espressione di specifici gruppi etnici regionali, unite dalla comune avversione dapprima contro il modello centralista e nazionalista del governo di Abiy Ahmed e poi dalla grave crisi determinata dal conflitto in Tigrai.
L’obiettivo primario della nuova formazione di opposizione politica è quello di destituire il primo ministro, del quale non riconoscono più la legittimità e che intendono sostituire con un governo di transizione incaricato di guidare un processo di riforma democratica delle istituzioni federali etiopiche.
Le nove formazioni che hanno aderito alla costituzione del UFEFCF sono di fatto guidate dal partito di governo del Tigrai, il TPLF, che rappresenta la formazione politica e militare (attraverso il suo esercito del TDF) di maggior peso all’interno dell’alleanza. Sono parte dell’unione poi l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA), già da tempo al fianco del TDF nell’impegno militare, il Fronte Democratico Rivoluzionario per l’Unità Afar (ARDUF), il Movimento di Liberazione del Popolo del Benishangul (BPLM), l’Esercito di Liberazione del Popolo di Gambella (GPLA), il Movimento Globale del Popolo Kimant per il Diritto e la Giustizia – Partito Democratico Kimant (KDP), il Fronte di Liberazione di Sidama (SLF) e la Resistenza dello Stato Somali. Il 7 novembre, tuttavia, il vertice dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Gambella ha comunicato di disconoscere l’autorità della persona che ha firmato l’accordo, di fatto ponendosi al di fuori del perimetro della coalizione.
La notizia della formazione di un fronte unitario di opposizione al governo federale di Addis Abeba è stata minimizzata dalle autorità di governo. Il ministro della giustizia ha descritto le diverse componenti dell’alleanza come altamente impopolari agli occhi della società etiopica, mentre già da giorni la portavoce del governo Billene Seyoum accusa la stampa straniera di diffondere informazioni false e di parte sul conflitto, imponendo agli organi di stampa nazionale di non riportare le informazioni prodotte dalla stampa estera.
Nella sostanza della capacità militare, la nuova alleanza anti-governativa resta dominata dalla struttura politica e militare del TPLF e – in misura minore – da quella dell’OLA, che rappresentano le due formazioni numericamente e qualitativamente più significative dello sforzo militare contro Addis Abeba. Le altre organizzazioni sono caratterizzate da dimensioni relativamente modeste e non tutte dotate di una reale capacità militare, rappresentando pertanto più un elemento simbolico di coesione politica e militare contro Abiy Ahmed piuttosto che un reale elemento di rafforzamento delle capacità operative.
A dispetto delle dimensioni contenute, tuttavia, la principale minaccia rappresentata da queste organizzazioni satellite è costituita dalla loro ubicazione periferica rispetto all’attuale linea del fronte, e quindi dotate della capacità di sferrare attacchi laddove la capacità di difesa delle forze federali è oggi palesemente carente.
Ciò che il governo centrale teme maggiormente, quindi, è la capacità delle organizzazioni anti-governative della nuova alleanza di provocare disordini e violenze nei diversi stati federali, soprattutto nelle aree più periferiche del paese, determinando un’instabilità che sarebbe impossibile da gestire sotto il profilo delle capacità militari, oggi strenuamente concentrate lungo la linea del fronte nello stato Amhara e a difesa della capitale Addis Abeba, in Oromia.
Quali scenari di breve e medio periodo per l’evoluzione del conflitto
La possibilità che le forze del TDF e quelle dell’OLA vogliano lanciarsi alla conquista di Addis Abeba, intraprendendo quello che ogni probabilità si trasformerebbe in un sanguinoso conflitto urbano, è tutt’altro che scontata.
Al netto dei proclami del TPLF, l’opzione militare diretta contro la capitale federale dell’Etiopia appare – almeno allo stato attuale – di difficile percorribilità. Per il costo in termini di vite umane e di danni materiali che comporterebbe, ma anche con ogni probabilità per la logistica che sarebbe necessaria, di cui le forze del TDF e delle milizie alleate non sembrano disporre in misura sufficiente.
Lo scenario ottimale per le forze tigrine e quelle dell’alleanza anti-governativa, pertanto, è quello di una capitolazione del governo di Abiy Ahmed senza doversi cimentare nel redde rationem della battaglia per la conquista della capitale. Un obiettivo apparentemente alla portata, e certamente accelerabile nei tempi attraverso alcune operazioni militari di accerchiamento, di fatto già in corso.
Lo strumento più efficace per costringere il governo federale alla resa – o quantomeno al negoziato – è quello di isolare la capitale rendendone difficoltosi gli approvvigionamenti. Questo risultato è conseguibile prendendo il controllo delle principali vie di accesso terrestre alla capitale, isolandola dalla rete dei rifornimenti con l’intento di provocare una crisi sociale e politica capace di costringere il primo ministro alla resa. La aree geografiche entro le quali i tigrini e i loro alleati devono cercare di muovere le proprie mosse sono quelle da una parte dello snodo stradale di Mile, nella regione dell’Afar, lungo il corso dell’autostrada A1 che collega Addis Abeba con il vitale porto di Gibuti, e dall’altra il tratto autostradale dell’A3 a nord di Addis Abeba, che le forze del TDF e dell’OLA potrebbero raggiungere nei prossimi giorni in prossimità del confine tra gli stati regionali dell’Amhara e dell’Oromia, in un’area apparentemente ormai già sotto il controllo delle forze anti-governative. Il blocco dell’autostrada A3 comporterebbe l’isolamento della regione Amhara e ridurrebbe le opzioni di collegamento terrestre della capitale esclusivamente verso sud e sud-est, verso aree scarsamente popolate e lontane dalle direttrici del trasporto terrestre.
Le uniche opzioni per l’approvvigionamento di Addis Abeba, pertanto, resterebbero quelle connesse al controllo della rete ferroviaria in direzione di Gibuti (verso est, attraverso Dire Daua) e delle autostrade A7 e A8, in direzione sud-ovest verso il Kenya. La linea ferroviaria si presenta di difficile controllo – è peraltro già soggetta da tempo a frequenti attacchi da parte della criminalità, a scopo di saccheggio – e in quest’area potrebbe rivelarsi determinante la capacità offensiva anche di piccole unità delle forze della Resistenza dello Stato dei Somali.
L’opzione di collegamento con il Kenya – che peraltro ha chiuso pochi giorni fa le frontiere nel timore di dover gestire flussi di profughi provenienti dall’Etiopia – si presenta problematica sotto il profilo della percorribilità stradale, terminando entrambe le autostrade A7 e A8 in prossimità della provincia di Arba Minch, mentre la strada che continua in direzione del posto di confine con il Kenya, a Moyale, è un’arteria provinciale a lenta percorribilità.
Il concreto rischio per il governo federale, quindi, sembra in questo momento maggiormente connesso alla possibilità di trovarsi isolato nella difesa della capitale, strangolato nei rifornimenti e costantemente minacciato nelle immediate periferie.
Se nel breve periodo lo scenario appare ampiamente favorevole alle ambizioni del TPLF e della compagine dei suoi alleati, però, il quadro rischia di mutare profondamente nel medio periodo, aprendo ad incognite di difficile previsione.
Il TPLF, infatti, non fa mistero di guardare con decisione all’ipotesi di un referendum sull’indipendenza dello stato regionale dalla federazione etiopica. Referendum che, ad oggi, dopo la drammatica parentesi del conflitto, vedrebbe quasi certamente affermarsi di misura la volontà di separazione da Addis Abeba.
L’indipendenza del Tigrai, conseguentemente, aprirebbe due ulteriori variabili ad alto rischio per la sicurezza regionale. Il primo sul fronte interno, dove la gran parte delle formazioni politiche di governo degli stati regionali, pur difendendo con decisione l’autonomia delle singole autorità governative, non vede di buon occhio la possibilità di una disgregazione della federazione etiopica alimentata dal precedente di una secessione del Tigrai. La federazione che ne risulterebbe, senza il Tigrai, sarebbe con ogni probabilità fortemente penalizzata sul piano economico, rendendo i singoli stati federali vulnerabili e destinati ad una progressiva perdita di autonomia a favore dello stato centrale. Gli alleati di oggi del TPLF, in tal modo, rischiano di diventare in breve tempo gli oppositori della sua corsa verso l’indipendenza, con la possibilità di una ulteriore e più cruenta fase di instabilità.
Il secondo fattore di rischio connesso all’ipotesi di indipendenza del Tigrai è invece riscontrabile sul piano regionale. Sussistono infatti concerti motivi per ritenere che il TPLF, una volta risolto il problema con Abiy Ahmed, intenda regolare definitivamente i conti con l’Eritrea di Isaias Afwerki.
Il risentimento generato dalla violenza e brutalità dell’occupazione eritrea del Tigrai costituisce certamente un fattore importante nella determinazione a sbarazzarsi una volta per tutte del regime di Asmara, soprattutto nella consapevolezza di saperlo ancora più ostile rispetto al passato. Un’operazione militare volta a far cadere il regime di Isaias Afwerki, tuttavia, sarebbe motivata anche da ragioni di ordine politico ed economico connesse all’ipotesi di indipedenza del Tigrai dalla federazione etiopica. L’autonomia conquistata con un referendum, infatti, trasformerebbe il paese in uno stato interno, senza alcuno sbocco al mare e – presumibilmente – con rapporti conflittuali lungo gran parte dei propri confini. È quindi alquanto probabile che un’Eritrea non ostile, o addirittura alleata, diventi una priorità improrogabile per il futuro stato del Tigrai, assicurandosi un sicuro sbocco verso il Mar Rosso.
In questo quadro si inserisce un dibattito in corso da tempo in merito alla possibilità di una sinergia politica o amministrativa con l’Eritrea che, pur caratterizzato da posizioni diverse tra loro, non fa mistero della visione tigrina di una soluzione del proprio rapporto con Asmara. Soluzione che, politicamente quanto pacificamente, risulta impercorribile con l’attuale regime di governo di Isaias Afwerki.
Lo scenario di un futuro conflitto del Tigrai con l’Eritrea si presenta in tal modo come possibile e altamente probabile, determinando un quadro della stabilità regionale di medio periodo altamente critico.