Esattamente il 4 novembre 2021 scoppiava ufficialmente il conflitto nel nord dell’Etiopia, in una regione, il Tigrai, che insieme all’Amhara costituisce il “centro” politico-culturale dell’Etiopia moderna.

Ma il Tigrai ne è anche, nonostante la popolazione tigrina rappresenti solo il 4% del totale della popolazione etiopica –  il secondo stato più popoloso d’Africa – il “centro” militare. L’attuale Seconda Repubblica infatti è espressione del conflitto armato che, dal 1975 al ’91, ha portato al potere proprio il TPLF, il cui potere è poi stato in caduta libera sin dalla morte del suo storico leader politico, Meles Zenawi, nel 2012.

In questo contesto Abiy Ahmed doveva rappresentare per l’Etiopia il simbolo della maturazione politica del paese: difatti dopo le mirabolanti prestazioni economiche, e la morte di Zenawi che ne è stato l’architetto, il paese ha vissuto anni travagliati mentre chiedeva a gran voce maggiori libertà politiche, fino ad Abiy. Abiy sembrava essere stabilità, svecchiamento e alternanza della classe politica e un esempio di quello che la repubblica federale, lasciata operare liberamente, poteva produrre a livello politico. Abiy lo è stato, e il premio Nobel del 2019 lo conferma, ma lo è stato solo per poco.

Un anno fa un analista che disegnasse lo scenario attuale non sarebbe stato considerato: il TDF ha conquistato la zona strategica di Dessie e Kombolcha e si assesta a circa 325 km a nord di Addis Abeba nella città di Kemise, l’OLA ha unito i suoi ranghi a quelli dell’ex-TPLF e per questo venerdì è prevista, a Washington, una riunione fra 9 gruppi antigovernativi per firmare un’alleanza.

Allo stesso tempo, da parte governativa, è stato dichiarato lo stato d’emergenza, i cittadini e gli ex soldati sono invitati a prendere le armi per difendere Addis Abeba mentre il governo di Abiy ha ricevuto anche uno schiaffo diplomatico: è di stamattina la notizia che il capo degli affari umanitari per l’ONU e l’inviato speciale dell’Unione Africana si sono riuniti con il governo de facto del Tigrai.

Dopo un mese dall’inizio del conflitto Abiy Ahmed aveva annunciato la vittoria del fronte governativo, adesso la versione governativa non cambia, ma la situazione sembra totalmente rovesciata con un pericoloso parallelo con il regime del Derg, il quale continuava a dichiarare d’essere ad un passo dalla vittoria finchè i ribelli non arrivarono ad 80km dalla capitale: a quel punto Mengistu Haile Mariam fuggì in Zimbabwe.

Oggi, come nel 1991, l’OLF e il TPLF sono insieme a combattere sul campo contro il governo e sembrano ad un passo dalla vittoria, oggi come nel 1991, le sorti di un conflitto che sembrava già scritto sembrano ribaltate, oggi come nel 1991, il TPLF, e questa volta con l’Eritrea nemica e non alleata, sembra essere una forza militare inarrestabile. La vittoria militare del TPLF e degli altri gruppi antigovernativi sembra vicina, ma lo è davvero? Oppure, come per Abiy Ahmed lo scorso dicembre, questa è una vittoria di Pirro?

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