Mentre l’esercito del TPLF cerca di prendere il controllo di Mile, città strategica dell’Etiopia in quanto snodo della ferrovia che collega Addis Abeba al porto di Gibuti fornendo importanti rifornimenti con l’obiettivo di tagliare gli approvvigionamenti alla capitale per sveltirne la resa, lo scontro fra il governo e i tigrini ritorna sulla questione eritrea.
L’Eritrea difatti ha partecipato attivamente alla guerra in Tigrai alleandosi con Abiy Ahmed e le forze federali, un’ingerenza che è stata spesso criticata dagli attori internazionali e che, dopo mesi di dinieghi da parte di Asmara e Addis Abeba, è stata ammessa sul finire della primavera insieme alla promessa di un rapido ripiegamento delle forze eritree.
L’avanzata del TDF, sin dalla cacciata delle forze federali nel giugno scorso, ha poi spostato l’attenzione mediatica sul ruolo eritreo nel conflitto, ma ad oggi ancora non si è certi se veramente le truppe eritree abbiamo abbandonato il Tigrai. Sicuramente le forze tigrine, dopo aver rotto l’accerchiamento, si sono occupate più delle forze federali che di quelle eritree ma, come anticipato su queste pagine da Nicola Pedde scorsa settimana, con la capitolazione di Addis Abeba si potrebbe scatenare la seconda guerra fra Eritrea ed Etiopia.
Sul finire della scorsa settimana inoltre, il governo degli Stati Uniti ha emanato dure sanzioni contro il governo eritreo a fronte della violazione dei diritti umani occorsa durante il conflitto in Tigrai: questo ha poi suscitato due distinte reazioni da parte di Addis Abeba e Macallè. I comunicati stampa dei due governi si sono susseguiti l’un l’altro con un aspro botta e risposta.
Il governo etiopico, nella sua risposta del 13 novembre alle sanzioni statunitensi, ha risposto in cinque punti nei quali si accusa il TPLF di essere l’autore della miccia che ha provocato l’intervento eritreo, il quale è stato semplicemente una risposta militare di un’entità sovrana ad un attacco al suo suolo e, inoltre, che vede l’Eritrea non come un impedimento ad una pace sostenibile in Etiopia (la quale è impedita dal TPLF) e, infine, che non si è mai lamentato dell’intervento eritreo sul suo suolo.
La risposta del TPLF, il giorno successivo, è stata perentoria. Abiy Ahmed viene inizialmente criticato per la collusione con un governo straniero – l’Eritrea – nella condotta di quello che i tigrini definiscono come una campagna di genocidio premeditato. Secondo i vertici del TPLF il primo ministro avrebbe delegittimato la sovranità nazionale etiopica, risultando pertanto prive di significato le sue enunciazioni nazionalistiche. Il TPLF, inoltra, sostiene che l’esercito eritreo sia ancora presente sul territorio del Tigrai, mentendo sul ripiegamento che avrebbe dovuto avvenire lo scorso giugno. Le forze dell’EDF sarebbero ancora saldamente in controllo di alcuni territori nell’ovest, nord-ovest e nell’est del Tigrai. Abiy Ahmed viene inoltre accusato dal TPLF di essersi piegato alle richieste e alle imposizioni dettate dall’Eritrea, avendo fornito ad Asmara i propri mezzi, la propria intelligence e le forze di sicurezza etiopiche. Con quest’atto di riverenza verso l’Eritrea, afferma il TPLF, il traballante regime di Abiy cerca d’invocare un intervento militare eritreo nel nord del paese di modo da diminuire la pressione su Addis Abeba che precipiterebbe sicuramente la sua caduta.
Non è chiaro allo stato attuale cosa possa accadere, e soprattutto se Afwerki accetterà di intervenire nuovamente, sebbene il fatto che i regimi di Afwerki e Abiy siano stati definiti dal TPLF come “inestricabilmente legati” lascia presupporre che un intervento contro l’Eritrea sia più che una mera possibilità.