In un crescendo di tensioni politiche e militari lungo i confini dell’area contesa dell’al-Fashaga, a sovranità sudanese ma popolata da comunità agricole etiopiche, il governo di Khartoum ha ordinato il 25 novembre alle proprie forze armate di chiudere i punti di confine tra i due paesi nell’area di Gallabat. La decisione è stata motivata ufficialmente dalla necessità di impedire l’incremento dei flussi di profughi generati dal conflitto in corso nelle regioni del Tigrai e dell’Amhara, con il posizionamento di rinforzi dell’esercito sudanese lungo tutta l’area di confine.

Il governo del Sudan ha poi accusato l’Etiopia di aver condotto un’operazione militare il 27 novembre nell’area dell’al-Fashaga, e in particolar modo nelle vicinanze del villaggio di Malakawa, provocando la morte di sei militari di Khartoum e il ferimento di numerosi altri.

Il successivo 29 novembre il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, si è personalmente recato nell’area dell’al-Fashaga, mentre i media locali sudanesi – nel commentare gli scontri dei giorni precedenti – hanno accusato le forze federali etiopiche, quelle Amhara ed anche gli eritrei della responsabilità degli scontri.

La stampa sudanese ha dato inoltre la notizia della morte nei combattimenti lungo le aree di confine del Maggiore Wael Taha, comandante della locale guarnigione dell’esercito, attribuendogli il merito di aver respinto un’offensiva forte di 6.000 soldati etiopici ed eritrei.

I combattimenti sono poi ripresi nella giornata del 30 novembre, quando le forze sudanesi avrebbero lanciato un’offensiva contro alcuni avamposti delle forze etiopiche, amhara ed eritree lungo il confine tra i due paesi, costringendole – secondo i media di Khartoum – a ripiegare oltre la linea del confine.

L’esercito sudanese, secondo quanto comunicato dal portavoce delle forze armate, avrebbe ingaggiato le forze avversarie nell’area di Shaybet, conducendo ripetuti attacchi con artiglieria e missili katiuscia che si sono protratti sino al giorno successivo. Decine, sempre secondo le fonti sudanesi, le perdite avversarie.

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