Il governo della Somalia e l’Unione Africana hanno di comune accordo deciso lo scorso 28 dicembre per l’avvio di un tavolo tecnico di ridefinizione della missione AMISOM, dopo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha concesso una proroga di tre mesi del mandato, prevista in scadenza per il 31 dicembre successivo.

In tal modo è stata sventata la possibilità di una repentina e caotica transizione della sicurezza alle forze federali somale, nel pieno di una crisi politica e con le elezioni parlamentari in corso.

La proroga del mandato, rinnovata provvisoriamente sino alla fine del marzo del 2022, è stata accordata subordinatamente alla conduzione di un tavolo tecnico tra l’Unione Africana, il comando della missione AMISOM e il governo somalo, per la ridefinizione del mandato e per stabilire ruoli e competenze delle diverse componenti dell’apparato di sicurezza nazionale e quello internazionale.

L’accordo raggiunto tra le parti prevede che la Somalia sottoponga nuovamente all’Unione Africana il proprio Piano di Transizione, verosimilmente prevedendo la presenza della missione AMISOM sino alla fine del 2023, definendo un nuovo mandato della missione, una riconfigurazione delle competenze e un piano per assicurare il finanziamento dell’operazione.

La presenza della missione AMISOM in Somalia, a partire dal 2007, è stata oggetto a più riprese di critiche da parte del governo somalo. Pur riconoscendone il ruolo e il merito nell’aver inizialmente permesso la sconfitta dell’al Shabaab, la permanenza dei militari stranieri in Somalia avrebbe secondo le istituzioni locali da una parte rallentato il processo di transizione in direzione delle forze federali somale e dall’altro creato una vera e propria economia parallela all’interno degli apparati militari dei paesi partecipanti. Il contributo finanziario internazionale, in sintesi, avrebbe permesso alle strutture militari di numerosi paesi della regione non solo di corrispondere con regolarità i salari ai propri militari, impedendo disordini e colpi di stato, ma anche determinato la possibilità di rinnovare gli equipaggiamenti e le dotazioni delle proprie forze armate. Questi fattori, secondo alcuni esponenti della politica e della sicurezza somala, avrebbero convinto i vertici militari dei paesi partecipanti della necessità di alimentare costantemente la minaccia dell’al Shabaab, riducendo contestualmente la capacità delle forze somale, al fine di prorogare indefinitamente la missione a proprio vantaggio.

Al tempo stesso, con il pretesto di contribuire alla sicurezza e alla stabilità della Somalia, alcuni paesi della regione partecipanti alla missione AMISOM – in particolar modo il Kenya e l’Etiopia – avrebbero sfruttato la propria presenza in Somalia per consolidare i propri interessi economici connessi allo sfruttamento dei terminali portuali, del commercio di carbone vegetale e del khat, e della pesca, oltre ad esercitare un’influenza politica funzionale a più ampie questioni sul piano bilaterale, come ad esempio il contenzioso sui confini marittimi tra Kenya e Somalia.

Il rinnovo del mandato di AMISOM vedrà con ogni probabilità la missione trasformata in modalità ibrida, con l’ingresso di nuove forze selezionate in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e soprattutto l’avvio anche di una fase di ristrutturazione tecnico-burocratica delle istituzioni somale. Il principale problema resta quello del finanziamento, oggi maggioritariamente assicurato dall’Unione Europea, e che i paesi membri vorrebbero invece vedere assicurato direttamente dalle Nazioni Unite.

In queste ipotesi di trasformazione, pertanto, sembra delinearsi la possibilità di una transizione della gestione della missione dall’Unione Africana all’ONU, sebbene la Somalia abbia posto come condizione per la propria accettazione il mantenimento della conduzione in mano all’organismo internazionale africano.

Sul piano generale della sicurezza, invece, approfittando della profonda confusione generatasi nel paese in conseguenza della crisi politica determinata dal confronto tra il presidente Farmajo e il premier Roble, l’al Shabaab ha ripreso l’iniziativa militare attaccando alle prime ore dell’alba del 30 dicembre l’importante cittadina di Bal’ad, 37 chilometri a nord-est della capitale, Mogadiscio.

Bal’ad rappresenta un importante snodo stradale e un presidio militare di fondamentale importanza per la sicurezza della capitale, dove stazionano unità dell’esercito federale e della polizia.

Secondo le informazioni giunte dalla Somalia, i miliziani dell’al Shabaab avrebbero attaccato la locale guarnigione militare provocando la morte di almeno 5 militari e 7 civili, occupando poi per alcune ore il comando delle forze armate le principali stazioni di polizia.

I miliziani si sono poi ritirati dopo che le forze del Somali National Army (SNA), riorganizzatesi, hanno lanciato una controffensiva rientrando nella cittadina. Nove terroristi dell’al Shabaab sarebbero stati uccisi durante gli scontri, che sarebbero durati sino alle prime ore del pomeriggio. Secondo il comando delle forze militari federali di stanza nella cittadina, i miliziani avrebbero cercato di impossessarsi di uno speciale macchinario per la posa dell’asfalto sulle strade, senza tuttavia riuscire a sottrarlo dal magazzino in cui era custodito.

Il caso ha generato imbarazzo tra le forze politiche somale, che accusano i vertici istituzionali di aver trascurato la lotta alla minaccia jihadista, concentrandosi al contrario sulle dinamiche dello scontro politico in atto sullo sfondo delle elezioni.

L’al Shabaab ha rivendicato anche l’attentato nel quale sono stati uccisi il 1° gennaio 15 militari etiopici presso il villaggio di Jawiil, nella regione dell’Hiiran, in prossimità del confine tra i due paesi.

I militari di Addis Abeba, inseriti nel dispositivo delle forze della missione AMISOM, stavano percorrendo una strada periferica a bordo di un mezzo da trasporto non blindato di artiglieria Ural, quando una potente esplosione di un IED li ha travolti, non lasciando scampo ad alcuna delle persone a bordo.

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