Non accennano a diminuire le tensioni tra il governo degli Stati Uniti e quello dell’Etiopia. Il Segretario di Stato Antony Blinken si è intrattenuto il 29 dicembre in un colloquio telefonico con il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, discutendo soprattutto della crisi in Etiopia e della sua evoluzione.

Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, tanto gli Stati Uniti quanto il Kenya hanno convenuto sulla necessità del perdurare del cessate il fuoco, dell’avvio di un negoziato, dell’apertura di corridoi umanitari e dell’immediata cessazione di qualsiasi violazione dei diritti umani.

La posizione espressa dal Segretario di Stato Blinken è stata accolta con fastidio dal governo di Addis Abeba, che l’ha definita come un’intrusione negli affari interni dell’Etiopia e, soprattutto, come la pratica dimostrazione del sostegno di fatto al TPLF tigrino da parte degli Stati Uniti e molti altri paesi occidentali e regionali.

Un ulteriore peggioramento delle relazioni tra Washington e Addis Abeba si è poi consumato il 1° gennaio, con l’ufficializzazione della decisione da parte degli USA di rimuovere L’Etiopia – insieme al Mali e alla Guinea – dall’accordo di esenzione dei dazi doganali per il commercio.

Lo US Trade Representative (USTR) aveva infatti confermato già dal 23 dicembre l’intenzione di rimuovere i tre paesi dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), in conseguenza di “azioni intraprese da ognuno dei governi in violazione con lo statuto dell’AGOA”.

Secondo quanto riferito dallo Stesso USTR, gli Stati Uniti hanno preso la decisione di escludere l’Etiopia dinanzi all’evidenza di “gravi violazioni dei diritti umani” nell’ambito del conflitto combattuto nel nord del paese, mentre per il Mali e la Guinea il provvedimento si è reso necessario in conseguenza dei mutamenti incostituzionali promossi dai governi locali.

Il provvedimento di esclusione dei tre paesi è stato tuttavia definito dall’USTC come reversibile, qualora venga ristabilito il rispetto dei parametri politici e sociali alla base dell’AGOA.

Non si è fatta attendere la risposta dall’Etiopia, dove il Ministro del Commercio si è detto “rattristato della decisione degli Stati Uniti”, chiedendo a Washington di riconsiderarla in considerazione delle “numerose iniziative che l’Etiopia sta portando avanti per portare la pace, la stabilità, il consenso politico e lo sviluppo economico”.

Il provvedimento rischia di determinare un impatto altamente negativo soprattutto sul fiorente settore tessile dell’Etiopia, consolidatosi nel corso degli anni come elemento centrale dell’industria internazionale dell’abbigliamento, colpendo in tal modo l’economia nazionale in una fase di particolare fragilità derivante dagli esorbitanti costi del conflitto.

Secondo l’agenzia di stampa etiopica FANA, inoltre, il governo intenderebbe proporre una richiesta di budget supplementare al Parlamento federale per il finanziamento dei programmi di ricostruzione delle aree colpite dal conflitto. La precedente stima di 2,5 miliardi di dollari, infatti, potrebbe essere incrementata di 102 milioni di dollari per far fronte ad una richiesta di finanziamento di un programma di riabilitazione dei feriti e dei mutilati di guerra. L’andamento della crisi economica, tuttavia, desta perplessità sulla capacità del governo di riuscire a reperire le risorse necessarie per la copertura del budget richiesto, alimentando soprattutto a livello internazionale dubbi sulla reale possibilità di una sua effettiva adozione.

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