La tregua di fatto tra il governo federale dell’Etiopia e quello dello stato regionale del Tigrai sembra aver retto alla sua prima settimana di implementazione. Sporadici scontri a fuoco hanno caratterizzato le attività di riposizionamento su entrambi i fronti, mentre le forze del TDF si sono effettivamente ritirate da tutto il territorio dell’Amhara.
Sembra essere stata smentita la notizia della scorsa settimana riguardo la caduta della città di Alamata sotto il controllo delle forze dell’ENDF, mentre è confermato che l’esercito federale abbia preso il controllo di una piccola porzione di territorio del Tigrai, lungo il corso dell’autostrada A2 al confine con lo stato regionale dell’Amhara.
Le forze dell’esercito federale avrebbero in tal modo stabilito i loro avamposti a circa un chilometro a sud dalla città di Alamata, occupando l’ultimo tratto pianeggiante di territorio prima dei rilievi montuosi del Tigrai, consolidando le proprie posizioni a presidio del confine con l’Amhara e l’Afar.
L’insostenibilità del conflitto, tanto nella dimensione militare e umana quanto in quella economica, sembra alla fine aver prevalso su qualsiasi narrativa trionfalista e nazionalista di ognuna delle parti, convincendo tanto i vertici del governo federale quanto quelli del governo regionale del Tigrai dell’imperativa necessità di un cessate il fuoco.
In tale direzione, il 29 dicembre l’Assemblea Parlamentare Federale etiopica ha varato una legge con la quale stabilisce l’istituzione di una commissione per il dialogo nazionale, rispondendo in tal modo anche alle molteplici sollecitazioni da parte della comunità internazionale. Il provvedimento è stato adottato a larga maggioranza, con 287 voti a favore, 13 contrari e nessun astenuto.
La commissione è incaricata di individuare strategie e strumenti per favorire il dialogo di riconciliazione nazionale e garantire l’unità del paese, sebbene in questa fase non avrà alcun mandato di dialogo per discutere con il TPLF e l’Oromo Liberation Army (OLA), che restano entità considerate terroristiche da parte del governo di Addis Abeba.
In tal modo, quindi, le aspettative per un risultato concreto da parte della commissione sono alquanto modeste in questa fase, in attesa di comprendere se e come il governo federale intenda stabilire una qualsiasi linea di dialogo con le controparti del Tigrai e le altre forze di opposizione presenti nel paese.
Il rischio, quindi, è che la commissione non solo sia incapace di una reale promozione del dialogo ma, anzi, funga da moltiplicatore del risentimento da parte delle forze che hanno combattuto contro il Tigrai e le milizie a questo alleate. Una risposta del tutto inadeguata, quindi, che rischia di non sortire alcuno degli effetti idealmente auspicati con la promulgazione della legge che ha istituito la commissione.
Come il portavoce del ministero degli Esteri, Dina Mufti, aveva preannunciato lo scorso 23 dicembre, la commissione rappresenta per il governo “uno strumento di dialogo tra i cittadini, ma non un negoziato”, e quindi in alcun modo non rappresenta un mutamento nel considerare come terroristi tanto le forze del TPLF quanto le altre formazioni armate dell’opposizione.
Secondo Dina Mufti, quindi, la commissione è stata costituita con l’intento di chiamare a raccolta le principali organizzazioni del paese, i funzionari pubblici e i cittadini allo scopo di discutere degli effetti del conflitto e delle possibili soluzioni per farlo cessare, senza in alcun modo volerlo configurare come uno strumento di trattativa con le autorità del Tigrai e le altre formazioni ribelli contro cui ha combattuto.
Lo stesso portavoce, poi, il 31 dicembre ha tenuto una conferenza stampa nell’ambito della quale ha comunicato come il governo dell’Etiopia intenda rafforzare la propria azione di politica estera in Africa, al fine soprattutto di fornire informazioni dettagliate e precise sull’andamento della crisi militare e promuovere quello che ha definito come il “rafforzamento del pan-Africanismo”, come strumento di difesa dell’integrità politica e territoriale degli stati africani dalle ingerenze esterne.
Una strategia orientata ad incrementare le capacità diplomatiche del paese, dopo che in sede di Commissione per i Diritti Umani alle Nazioni Unite, lo scorso 17 dicembre, l’astensione di alcuni paesi africani ha determinato l’approvazione di una commissione di investigazione indipendente sulle violenze perpetrate durante il conflitto.