Con una mossa che il primo ministro etiopico Abiy Ahmed ha definito orientata alla promozione della riconciliazione, il 7 gennaio è stato annunciato il rilascio di numerosi esponenti delle opposizioni detenuti dal governo federale, tra i quali alcuni esponenti del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigrai (TPLF).

L’annuncio della scarcerazione degli oppositori politici è avvenuto in concomitanza con le festività del Natale ortodosso, e, secondo quanto comunicato dal primo ministro, il rilascio sarà caratterizzato da una pronuncia di amnistia per i reati precedentemente contestati agli oppositori.

Tra i nomi indicati nel provvedimento di rilascio spiccano quelli di Sebhat Nega, di 88 anni e tra i fondatori del TPLF, arrestato esattamente un anno fa, e Jawar Mohammed e Bekele Gerba, esponenti dell’opposizione oromo accusati di aver incitato le violenze seguite all’omicidio del popolare cantante Hachalu Hundessa nel giugno del 2020.

Figurerebbero nella lista dei rilasci anche altri esponenti del TPLF, tra i quali la sorella di Sebhat Nega, Kedusan Nega, l’ex presidente del Tigray Abay Woldu, l’ex esponente del comitato centrale del TPLF Abadi Zemu, ed Eskinder Nega, già a capo del partito Baladera per una vera Democrazia.

L’annuncio della scarcerazione degli oppositori politici è avvenuto all’indomani della missione in Etiopia dell’inviato del governo degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, che il 6 gennaio ha incontrato il primo ministro Abiy Ahmed chiedendo l’immediata cessazione delle ostilità. Jeffrey Feltman ha annunciato le sue dimissioni dall’incarico solo il giorno prima della missione in Etiopia, apparentemente in conseguenza di divergenze con il presidente Biden in merito alla gestione della politica statunitense in Etiopia e in Sudan. Verrà sostituito dall’ex ambasciatore in Turchia David Satterfield.

La decisione del primo ministro Abiy Ahmed di scarcerare e perdonare alcuni esponenti di spicco dell’opposizione tigrina e oromo ha alimentato numerose speculazioni, tra le quali in particolar modo quella connessa all’avvio di un negoziato segreto con il TPLF.

Nonostante il governo federale neghi la possibilità di qualsivoglia negoziato con entità che considera come organizzazioni terroristiche, a rafforzare il sospetto di un negoziato segreto è stato anche il discorso pronunciato nei giorni scorsi dal presidente tigrino (e vertice del TPLF) Debretsion Gebremichael, il quale, nel corso di un’intervista concessa alla rete televisiva statunitense CNN, ha sostenuto come il conflitto debba essere risolto pacificamente, confermando la disponibilità del TPLF a sostenere qualsiasi opzione in questa direzione.

Ulteriore elemento atto a rafforzare la possibilità di un compromesso è quello connesso alla visita del giorno precedente dell’inviato speciale USA per il Corno d’Africa Jeffrey Feltman, che potrebbe aver sottoposto ad Abiy Ahmed un pacchetto di incentivi soprattutto sul piano delle sanzioni e dell’economia, a pochi giorni dalla notizia della sospensione dell’Etiopia dall’accordo di duty-free AGOA.

Ogni ipotesi di soluzione negoziale della crisi in Tigrai, tuttavia, non può ignorare la variabile posta dal governo dell’Eritrea, che ha sostenuto Abiy Ahmed e il governo federale nel conflitto con il preciso intento di debellare in modo definitivo quella che l’Asmara considera come la minaccia esistenziale posta dalla sopravvivenza politica e militare del TPLF.

Con le forze eritree ancora saldamente presenti all’interno di una vasta area di confine tra il Tigrai e l’Eritrea, ogni ipotesi negoziale tra il governo di Macallè e quello federale di Addis Abeba che non includa il placet eritreo rischia di determinare una profonda e duratura instabilità nella regione. Al tempo stesso, risulta difficile comprendere quale interesse potrebbe nutrire l’Eritrea per una soluzione negoziale che cristallizza il ruolo e la posizione del TPLF, soprattutto alla luce della difficile posizione dell’Asmara sul piano internazionale, ormai colpita da sanzioni e largamente isolata politicamente.

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