La tregua di fatto in corso in Etiopia continua ad essere caratterizzata da continue incursioni aeree condotte dal governo federale contro obiettivi ubicati nello stato regionale del Tigrai, rendendo alquanto fragili gli equilibri politici e militari conseguiti nel corso delle ultime settimane.

Una nuova ondata di attacchi sarebbe stata sferrata contro obiettivi nel Tigrai nella seconda settimana di gennaio. Un primo attacco aereo è stato condotto il giorno 10 contro obiettivi ubicati nella città di Mai Tsebriin, piccolo centro abitato a circa 20 Km dal confine con lo stato regionale dell’Amhara, lungo il corso dell’autostrada B30, colpendo (secondo Bloomberg) anche un mulino e provocando secondo fonti locali 17 morti tra la popolazione civile.

Un secondo attacco sarebbe stato condotto invece il giorno 11 nella città di Hiwane, centro abitato a circa 60 Km a sud di Macallè, lungo il corso dell’autostrada A2, provocando due morti e numerosi feriti.

Il 15 gennaio secondo quanto riferito da fonti tigrine, tre attacchi aerei sarebbero stati condotti contro obiettivi nella cittadina di Maychew, circa 120 Km a sud di Macallè, lungo il corso dell’autostrada A2, a Korem, circa 180 Km a sud di Macallè, sempre lungo il corso dell’autostrada A2, e a Samre, cittadina posta a circa 70 Km sud-ovest di Macallè, lungo la strada provinciale di collegamento con Finarwa, al confine con lo stato regionale dell’Amhara. Secondo quanto riferito alla stampa dal portavoce del TPLF, Getachew Reda, le incursioni avrebbero provocato numerose vittime civili, sebbene non siano state fornite indicazioni in merito alla natura degli obiettivi colpiti e al numero delle vittime.

Sempre secondo fonti del TPLF, inoltre, le forze eritree presenti sul territorio del Tigrai avrebbero condotto sporadici attacchi contro quelle tigrine del TDF, sebbene anche in questo caso sia impossibile verificare la veridicità delle accuse per la mancanza di qualsiasi evidenza.

Secondo un articolo pubblicato dal Somali Guardian l’11 gennaio, invece, sarebbero oltre 400 i soldati somali deceduti durante l’addestramento in Eritrea e il successivo impiego nel conflitto del Tigrai, mentre altri sarebbero stati costretti ai lavori forzati. L’articolo cita le dichiarazioni di un somalo, Abdulkahdir Abshir, che sostiene di essere fuggito dall’Eritrea, dove 5.400 giovani somali sarebbero stati inviato per ricevere addestramento militare in seguito ad un accordo dai tratti misteriosi, al quale la stampa somala ha dedicato particolare attenzione nel corso degli ultimi mesi.

Il 12 gennaio il presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il tigrino Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno provocato accese polemiche in Etiopia. Secondo Tedros “la mancanza di un accesso umanitario allo stato regionale del Tigray alla nostra umanità, e in nessun luogo del mondo possiamo assistere ad un inferno come quello del Tigrai”.

Le parole del presidente dell’OMS hanno provocato l’immediata e sdegnata risposta da parte delle autorità di Addis Abeba, che hanno chiesto la revoca del mandato di Tedros e denunciato una diffusa politica di sostegno internazionale a favore del Tigrai e del TPLF.

La posizione di condanna del ruolo del governo federale è tuttavia ben più ampia di quanto il governo di Addis Abeba possa gestire, e anche il comitato organizzatore del premio Nobel, a Stoccolma, che ha assegnato il premio ad Abiy Ahmed nel 2019, ha formalmente chiesto il 13 gennaio al primo ministro etiopico di arrestare il conflitto, implicitamente attribuendogliene la responsabilità.

Sembra aver sortito uno scarso effetto, in tal modo, il rilascio di alcuni prigionieri politici stabilito la settimana scorsa da Abiy Ahmed, nel tentativo di favorire un dialogo di riconciliazione che non coinvolga tuttavia il TPLF come organizzazione politica, e soprattutto i sui attuali vertici. Le notizie dei bombardamenti condotti attraverso l’impiego dei droni hanno certamente attratto l’attenzione dei media internazionali, relegando la liberazione degli ex detenuti ai margini dell’informazione.

Si sono rallegrati della scarcerazione, invece, sia il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che il Presidente degli USA Joe Biden, giudicandolo un segno tangibile nel tentativo di favorire un processo di riconciliazione politica nazionale.

Uno degli esponenti politici liberati la scorsa settimana, Eskinder Nega, blogger e fondatore del partito Baldera per una vera Democrazia, ha comunicati di essere disposto a partecipare ad un tavolo nazionale di riconciliazione, mentre nessuno degli altri ha voluto rilasciare dichiarazioni.

Il nuovo rappresentante speciale per il Corno d’Africa del Dipartimento di Stato USA, David Satterfield, ha invece comunicato il 15 gennaio l’intenzione di recarsi in Etiopia e Sudan nel corso di questa settimana, proseguendo poi l’Arabia Saudita. Satterfield ha voluto in tal modo dimostrare come le dimissioni di Jeffrey Feltman non incideranno in alcun modo sulla capacità del governo degli Stati Uniti di seguire con attenzione le dinamiche della politica e della sicurezza regionale.

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