Sin dall’annuncio della liberazione dei prigionieri politici in Etiopia e della creazione di una commissione per il dialogo nazionale, le speranze per una soluzione pacifica e politica al conflitto in Tigrai sono in costante aumento nella comunità internazionale. E pare proprio che i primi contatti fra il TPLF e le forze governative siano iniziati questa settimana.

Debretsion Gebremichael, presidente del TPLF, ha infatti annunciato in una rara intervista rilasciata alla BBC che “contatti indiretti” col governo federale sono iniziati e che alcuni segni di miglioramento ci sono stati. Dalla parte del governo, Abiy Ahmed ha deciso di rimuovere lo stato di emergenza nel paese. Due mosse che danno speranza alla comunità etiopica e a quella internazionale sulla possibilità di un dialogo sincero, duraturo e fruttuoso.

La situazione in Tigrai, tuttavia, secondo l’ultimo report rilasciato dal World Food Programme (WFP) lo scorso venerdì, ha evidenziato la necessità di agire efficacemente, velocemente e senza più ritardi. Se da una parte, grazie alle informazioni rilasciate dal ministero della salute tigrino, sappiamo che sono 5000 le persone morte di malnutrizione dall’inizio del conflitto, ad oggi le previsioni del WFP affermano che la carestia si sta espandendo anche nelle regioni confinanti dell’Afar e dell’Amhara. Sono infatti 9 milioni le persone che necessitano di aiuti umanitari, anche se non è chiaro come si dividano questi numeri fra Amhara e Afar la stima comprende tutti e sei i milioni di tigrini. Più nello specifico, in Tigrai, il 40% di questi sei milioni di abitanti soffre di “estrema mancanza di cibo”, mentre i tre quarti della popolazione ricorre a strategie estreme di sopravvivenza e l’83% è in grave carenza di cibo, potendo contare su un solo pasto quotidiano.

Milkessa Gemechu, accademico ed ex componente dell’OPDO (il partito di Abiy Ahmed prima della fondazione del Partito della Prosperità) ha espresso seri dubbi sulla buona volontà delle negoziazioni in corso: nel Dialogo Nazionale invocato da Abiy infatti i due principali avversarsi del regime, il TPLF e l’OLA, sono stati esclusi ma soprattutto secondo sue fonti, interne al Partito della Prosperità, negli ultimi due mesi decine di migliaia di giovani sono stati coscritti e stanno svolgendo una preparazione militare.

In quest’ottica le mosse di Abiy sarebbero solamente una strategia di riguadagnare la legittimità in seno alla popolazione etiopica (in particolare gli oromo ed amhara) e la comunità diplomatica internazionale, in modo da guadagnare tempo per vincere questo conflitto sul campo. Un altro input in questo senso viene dal TPLF, il 25 gennaio infatti una dichiarazione stampa è stata rilasciata e diffusa attraverso twitter. Se da una parte questa settimana è stata infatti di giubilo nel Tigrai per i rinnovati aiuti umanitari (ora concessi dal governo federale) il conflitto sembra accendersi in un’altra direzione. Gli altri contendenti, oltre al TPLF e ad Abiy, ovvero l’Eritrea e gli stati confinanti di Amhara e Afar non sembrano voler fermare le operazioni militari: il TPLF afferma che le forze speciali dell’Afar e un’organizzazione detta Red Sea Afar Force (che è sospettata di composta e rifornita dal governo eritreo) hanno cercato d’impedire l’arrivo degli aiuti umanitari in Tigrai e condotto alcuni raid nel territorio tigrino, costringendo quindi il TPLF a combattere e a cercare di scacciarli.

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