Il 7 febbraio l’inviato speciale russo per il Medio Oriente e l’Africa, Mikhail Bogdanov, si è recato in Eritrea, a Massaua, dove è stato accolto dal ministro degli Esteri Osman Saleh e dove poi ha incontrato il presidente Isaias Afwerki.
La visita del diplomatico russo è stata breve ma altamente significativa, segnando quello che potrebbe essere un punto svolta nelle relazioni tra la Russia e l’Eritrea. Simbolica anche la scelta del luogo dell’incontro, Massaua, sul Mar Rosso, dove la Russia coltiva l’ambizione di stabilire una o più basi navali per consentire alla propria marina militare una più estesa proiezione nell’Oceano Indiano.
Mikhail Bogdanov ha portato all’attenzione del presidente Isaias Afwerki la disponibilità per una cooperazione su vasta scala tra la Russia e l’Eritrea, discutendo poi a lungo degli sviluppi delle dinamiche regionali.
Le note ufficiali dell’incontro riferiscono di un’ampia apertura da parte del presidente Afwerki verso la Russia, che ha definito il ruolo di Mosca come importante per lo sviluppo dei popoli africani, mentre entrambi hanno espresso critiche in direzione di quelle che definiscono come “ingerenze esterne e sanzioni illecite”, chiaramente riferendosi, senza nominarli espressamente, agli Stati Uniti e all’Unione Europea.
La visita di Bogdanov in Eritrea è stata organizzata con un tempismo preciso dalla Russia, consapevole delle difficoltà economiche del paese e del sempre più accentuato isolamento internazionale, soprattutto in conseguenza del ruolo svolto nel conflitto nella vicina Etiopia.
In tal modo, la Russia si aggiunge alla Cina nel proporre una cooperazione economica di sicuro interesse per il paese, offrendo incentivi di varia natura, in questo momento di vitale importanza per l’Eritrea. A fronte di questa apertura che lo stesso Bogdanov ha definito come “su vasta scala”, tuttavia, la Russia non nasconde il suo interesse per lo sviluppo di una o più basi navali sul Mar Rosso.
Da tempo, infatti, Mosca è alla ricerca di un approdo regionale capace di consentire alle sue unità navali una più ampia proiezione nell’Oceano Indiano, attraverso lo sviluppo di una base d’appoggio capace di soddisfare le esigenze tecnico-logistiche di una flotta regionale permanentemente impiegata nella regione.
I preliminari contatti stabiliti con il Sudan, all’epoca del primo mandato del premier Abdalla Hamdok, sembrano essersi arenati in conseguenza tanto della crisi politica locale quanto delle pressioni degli Stati Uniti su Khartoum. L’opzione per lo sviluppo di una base in Eritrea si presenta in tal modo come una nuova stimolante opportunità per Mosca, che ha preliminarmente e informalmente selezionato tre aree di possibile interesse.
La prima è quella del porto di Massaua, certamente il più importante del paese e quello dotato delle infrastrutture e dei collegamenti terrestri maggiormente sviluppati. In subordine c’è il porto di Assab, e soprattutto l’imponente area sviluppata – e poi abbandonata – dagli Emirati Arabi Uniti a ridosso dell’aeroporto, nell’ambito della quale è stato realizzato anche uno scalo marittimo caratterizzato da un canale d’accesso di profondità sufficiente per ospitare navi militari. La terza opzione potrebbe invece essere quella di ripristinare alcune delle infrastrutture realizzate dall’ex Unione Sovietica nelle isole Dahlak, che da un lato godono di totale autonomia rispetto ai porti di Massaua e Assab, ma al tempo stesso scontano la mancanza di qualsiasi infrastruttura, determinando l’esigenza di interventi strutturali di ampia misura.
Sebbene la possibilità di un accordo con la Russia per lo sviluppo di una base navale possa rappresentare una vitale risorsa economica per il paese, l’esperienza eritrea insegna come la presenza di infrastrutture militari sotto il controllo di stati terzi sia sempre stata problematica sotto il profilo della gestione politica e militare interna all’apparato amministrativo del paese.
Anche la recente esperienza della presenza del contingente emiratino presso la base di Assab aveva alimentato voci di crescenti nervosismi in seno ai quadri dell’esercito eritreo, che tradizionalmente non gradiscono le richieste di autonomia operativa dei paesi terzi sul proprio territorio.
La possibilità di un accordo con la Russia, e in particolare di un accordo per lo sviluppo di una base navale, in tal modo, rappresenta al tempo stesso una vitale opportunità economica per l’Eritrea ma anche una potenziale fonte di attriti tanto sul piano interno, in seno alle gerarchie militari, quanto su quello internazionale, nel già precario rapporto con la comunità internazionale e gli Stati Uniti in particolare.