Nuove manifestazioni sono state organizzate il 7 febbraio a Khartoum e numerose altre città del Sudan contro le forze di governo del Consiglio Sovrano di Transizione, nell’incessante tentativo delle forze di opposizione di chiedere l’uscita di scena dei vertici militari dalla politica nazionale.

Le forze di sicurezza hanno cercato di disperdere le manifestazioni con l’uso di lacrimogeni e idranti, fortunatamente senza che si registrassero vittime. Al termine della giornata, invece, numerose operazioni di polizia sono state condotte nelle principali città, traendo in arresto molti esponenti delle forze di opposizione.

Gli arresti sono poi continuati nelle due giornate seguenti e hanno interessato sia esponenti delle organizzazioni civili che politici dell’ex governo presieduto da Abdalla Hamdok. Tra i nomi più nomi importanti degli attivisti e dei politici arrestati spiccano certamente quelli dell’ex ministro per gli affari di gabinetto Khalid Omer Youssif, il segretario generale del Comitato per la Rimozione del Potere Tayeb Osman Youssef e il suo collega Wagdi Salih.

Hanno espresso preoccupazione per l’evoluzione delle dinamiche politiche sudanesi gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Gran Bretagna, la Norvegia, il Canada e la Svizzera, che hanno espressamente condannato “le molestie e le intimidazioni delle autorità militari” e chiesto la liberazione degli esponenti di opposizione arrestati.

La risposta del governo sudanese è stata secca e sprezzante. Il ministro degli Esteri facente funzione, Ali Al-Sadiq, ha pubblicamente definito come ingerenze i commenti espressi sui social media dagli ambasciatori della cosiddetta troika (USA, Gran Bretagna e Norvegia) mentre il consigliere per i media del governo, il Colonnello Tahir Abu Haja, ha tenuto una conferenza stampa nell’ambito della quale ha sostenuto che gli arresti non hanno motivazioni politiche e sono stati condotti in conformità con le leggi in vigore nel paese, in base a specifiche accuse di appropriazione indebita.

È intervenuto nel dibattito politico il 12 febbraio anche il vice-presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come “Hemetti”, che comanda anche le famigerate milizie delle Forze di Supporto Rapido.

In una cerimonia tenutasi nel distretto di Suba, nella parte meridionale di Khartoum, in occasione dell’inaugurazione dei lavori di due organizzazioni assistenziali – “Le mani della Bontà” e “Contributo allo Sviluppo Sostenibile” – il generale Dagalo ha invitato i sudanesi a unire le forze per la ricostruzione del paese, accusando una parte della società del paese di disinteresse per le sorti della nazione.

Al riferimento, chiaramente rivolto ai manifestanti, ha aggiunto come la democrazia sia possibile solo attraverso il voto di candidati eletti, aggiungendo come un compromesso sia necessario in questa fase, così come la rimozione di ogni ostacolo in direzione del processo di riconciliazione e unità.

L’intervento del generale Dagalo del 12 febbraio è il primo dopo un lungo periodo di relativo silenzio, nel corso del quale ha anche trascorso circa due settimane negli Emirati Arabi Uniti – dove ha incontrato il crown prince Mohammad Bin Zayed – per ragioni che il governo non ha voluto chiarire e che le opposizioni ritengono invece connesse alla pianificazione della repressione della protesta.

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