Lo stallo nel conflitto in Tigrai, in Etiopia, prosegue, sia a livello militare che diplomatico. La settimana scorsa Debretsion Gebremichael, il leader del TPLF, aveva affermato che i dialoghi di pace con il premier Abiy Ahmed erano iniziati e le speranze di risolvere il conflitto pacificamente sembravano nuovamente risollevarsi. Tuttavia il 22 febbraio Abiy ha annunciato al Parlamento, in quello che è stato il suo primo discorso parlamentare dal discorso di riconferma post-elettorale in ottobre: “Sento molto parlare a proposito di un dialogo, tuttavia non c’è stato nessun dialogo finora [con il TPLF, NdR]. Comunque, non è detto che non parleremo affatto.”
Intanto un reportage di Amnesty International e uno di Al Jazeera fanno emergere possibili crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dai contendenti.
Il 16 febbraio Amnesty International ha fatto sapere di aver condotto un’indagine nei paesi di Chenna e Kobo, nella regione di Amhara, occupati la scorsa estate dalle truppe del TPLF. I soldati tigrini pare abbiano usato violenza fisica e sessuale su circa 30 vittime, alcune di soli 14 anni. L’indagine è proseguita dopo la pubblicazione in novembre, sempre da parte di Amnesty, riguardo alle violenze sessuali commesse dai soldati del TPLF a Nifas Mewcha, altro paese dell’Amhara. Secondo Amnesty sarebbero stati condotti anche stupri di gruppo ed esecuzioni sommarie di civili non armati, in una sorta di vendetta contro le truppe amhara.
Un reportage di Al Jazeera del 25 febbraio evidenzia invece l’azione delle forze federali nella cittadina di Abala, al confine fra l’Afar e il Tigrai. La testimonianza di Desta Gebreananya risale al 24 dicembre 2021, quando le forze governative erano nel corso della controffensiva in Afar: “I soldati proteggevano i civili delle altre etnie ed eliminavano i tigrini. Hanno ucciso, stuprato in gruppo, saccheggiato e arrestato ogni tigrino che trovavano in città. Solo se conoscevi un Afar potevi nasconderti o avere aiuto per scappare e salvarti”.
La donna di origini tigrine si è poi nascosta per una settimana insieme ai suoi cinque figli ed è riuscita a scappare nel Tigrai ed attualmente vive in un centro di accoglienza nei sobborghi di Macallè. In questo campo per sfollati ben 7000 tigrini sono rifugiati e mentre vengono denunciati abusi sessuali da parte dei soldati federali, una delle testimonianze evoca addirittura il crimine dei crimini nell’ordinamento internazionale: “Ci hanno sterminati tutti. Nessun tigrino è rimasto in città. Hanno commesso un genocidio”.
Lo scorso dicembre il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU aveva passato una risoluzione per istituire un’investigazione indipendente sulle violazioni commesse dalle varie parti in conflitto, tuttavia il governo etiopico ha deciso di non cooperare in quanto considera il comitato “uno strumento di pressione politica”. Probabilmente solo con la fine del conflitto avremo delle risposte certe riguardo alle varie atrocità commesse, tuttavia come evidenziato dalle dichiarazioni di Abiy in Parlamento pare che ancora la strada sia lunga.