La scorsa settimana l’Etiopia ha inaugurato la diga GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam), la cui costruzione era iniziata nel 2011. La diga sorge sulla parte del Nilo, chiamato Nilo blu, nella regione Benishangul-Gumus, a circa 30 km dal confine tra Etiopia e Sudan, dove scorre l’85% delle acque del fiume. La diga ha causato in passato svariati problemi diplomatici al paese con le altre nazioni che sfruttano il corso del fiume, Sudan ed Egitto. Durante l’inaugurazione il primo ministro Etiopia ha tenuto a rassicurare che la diga non comprometterà l’efficienza delle acque del fiume.

La diga, che ad oggi produce 375 megawatt, si prevede arriverà a circa 5000 megawatt nel 2024 — più del doppio dell’energia che produce attualmente il paese — portando, come ha assicurato il primo ministro durante l’inaugurazione, l’elettricità al 60% della popolazione che ancora non ne ha accesso.

La diga è anche un ottimo strumento in chiave di politica estera per l’Etiopia, in quanto il paese conta di fare circa un miliardo di dollari di provento dalla vendita dell’energia della diga ai paesi confinanti, e non solo. In questo contesto si inseriscono le trattative tra Addis Abeba e Nairobi sull’importazione di energia. Nel mese di febbraio i due paesi dell’Africa orientale hanno tenuto vari incontri per raggiungere un accordo sull’energia, ma ancora non si ha certezza sulle quantità. I due paesi hanno tuttavia mostrato la buona volontà nel mettersi d’accordo, alla luce di precedenti accordi sull’energia frutto di uno sviluppo tecnologico avvenuto nel settore in entrambi i paesi.

Oltre che un progetto economico, quello tra il Kenya e l’Etiopia sembrerebbe avere anche un dichiarato intento politico, visto che nelle intenzioni dei governanti di entrambe le nazioni questa sarebbe una mossa volta a stimolare una più ampia crescita economica. L’interconnessione energetica della regione servirebbe da modello di sviluppo per altri paesi dell’area.

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