246 deputati sui 251 sinora nominati alla Camera Bassa (sui previsti 275) e 40 dei 50 deputati della Camera Alta hanno giurato ufficialmente il 14 aprile in Somalia. La breve cerimonia si è svolta nella base Halane dell’aeroporto di Mogadiscio, compound fortificato ritenuto sufficientemente al riparo da temuti nuovi atti di terrorismo.
Il 18 aprile, militanti Al Shabaab hanno lanciato colpi di mortaio contro la sede del Parlamento, dove era in corso una seduta parlamentare – la prima dal giuramento – presieduta pro-tempore dai parlamentari più anziani; almeno 6 persone vi sono rimaste ferite. Nella notte tra il 13 e il 14 aprile un attacco condotto con le stesse modalità aveva colpito una base prossima all’aeroporto.
Nonostante le incertezze, il Premier Roble e il Presidente Farmajo hanno salutato lo “storico” risultato. Essi hanno messo temporaneamente da parte le rivalità, esemplificazione di quelle ben più ramificate che hanno posto in dubbio – ancora sino all’ultimo, la presenza di alcuni dei parlamentari. 24 i nominativi che restano da indicare per la Camera Bassa tra HirShabelle e Oltregiuba. 16 sono nella sola Garbaharey, feudo di Farmajo nella quale più vive sono le controversie.
La tappa procedurale chiude almeno idealmente il lungo processo elettorale, esito che era iniziato a settembre 2020 ed era atteso dai primi mesi del 2021. Perché possa iniziare quello per la nomina dei vertici del Parlamento e poi del Capo dello Stato occorre tuttavia definire un equilibrio tra le parti che possa poi chiudere le nomine ancora pendenti. Il Presidente dell’HirShabelle Gudlawe è giunto a Mogadiscio il 18 aprile, per colloqui a tal fine. Una soluzione potrebbe venire dalla convalida del seggio ottenuto da Yasin, consigliere di Farmajo e già al vertice degli organismi di informazione e sicurezza somali.
Si può dunque gioire di un primo risultato raggiunto. Ritardi e veti ancora rappresentano tuttavia un concreto rischio di escalation e caos istituzionale. Le cause-radice dell’instabilità politica restano infatti attive e ciò getta un’ombra sul prosieguo, tanto che si è preferito non indicare una data per la nomina del Presidente del Parlamento, che è la prossima tappa attesa.
Un esempio delle future traiettorie è nel ritornare di dichiarazioni di Farmajo, che nel presenziare a un evento celebrativo dell’iftar (interruzione del digiuno di Ramadan) con l’Esercito, non ha esitato a denunciare i propositi del Kenya di favorirne la rielezione. Nairobi avrebbe chiesto in cambio l’abbandono del processo di delimitazione della frontiera marittima innanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, che ha accolto poi in gran parte le tesi somale.
Farmajo si pone di nuovo come campione di un nazionalismo somalo positivo, facendo dunque appello a non abbandonare la rotta sin qui seguita. Questo tipo di dinamiche, ovvero le sponsorizzazioni o il palese rifiuto a fornirle, caratterizzeranno di certo le settimane a venire, in particolare lungo gli assi che uniscono la Somalia ai Paesi del Golfo (Emirati, Qatar, Arabia Saudita), alla Turchia e ai Paesi vicini come Etiopia e Kenya.
Tali legami internazionali restano però ancora necessari sul piano della sicurezza e della nascente difesa, per ragioni umanitarie ora divenute più stringenti di fronte alla siccità e infine per gli investimenti necessari a sviluppare ancor più l’economia e la società somale. Ne nasce un meccanismo ambiguo, nel quale da un lato è difficile o impossibile rinunciare alle diverse declinazioni della presenza estera, dall’altra i leader nazionali tentano di farsene interpreti o paladini esclusivi, per sopraffare rivali in un contesto di perdurante debolezza e frammentazione.