Martedì scorso si era accesa la diatriba tra l’ente regolatore dell’energia in Kenya e alcune aziende di distribuzione del carburante, ree, secondo l’ente, di aver dato la priorità di approvvigionamento ad alcune nazioni confinanti. Le aziende di distribuzione del carburante keniane, infatti, riservano il 65% al mercato interno del paese e il restante viene venduto tra Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Secondo l’ente regolatore infatti, non ci sarebbe scarsità di petrolio nel paese, bensì questa crisi sarebbe frutto delle scelte di alcune aziende.

Come riporta la BBC, secondo alcune speculazioni, alcune aziende avrebbero accumulato petrolio sperando in un’innalzata dei prezzi in settimana, visto che giovedì l’ente regolatore avrebbe rivisto i prezzi per il mese successivo.

Secondo gli esperti, tuttavia, la crisi delle scorse settimane è dovuta al mancato pagamento da parte del governo dei sussidi ai distributori di petrolio. Questi sussidi servivano a regolare il prezzo della benzina, tutelando così i consumatori dai rialzi degli scorsi mesi. Il governo ha dichiarato in settimana che più di un terzo dei sussidi era stato pagato.

Nel frattempo la prima testa a cadere è stata quella del CEO di Rubis Energy Kenya, Jean-Christian Bergeron, una filiale del gruppo francese Rubis, una delle più grandi aziende di distribuzione del petrolio del paese. Il Kenya ha espulso l’amministratore delegato, accusato di aver artificialmente alterato il prezzo del petrolio. La risposta di Bergeron non è tardata ad arrivare, l’AD ha dichiarato che sarebbe andato subito a Parigi a dare un aggiornamento sulla situazione della filiale. Egli avrebbe inoltre respinto le accuse che lo vedono responsabile di aver alterato scientemente il mercato keniano, accumulando petrolio prima dell’impennata dei prezzi.

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