Circa 528 militari etiopici, in forza al contingente dell’ONU in Sudan, si sono rifiutati di rientrare in Etiopia alla fine del proprio turno di servizio, chiedendo asilo politico al governo di Kahrtoum.
I militari, in prevalenza di etnia tigrina, hanno motivato la propria scelta sostenendo di temere per la loro libertà e incolumità al ritorno in patria, in conseguenza degli arresti condotti nel recente passato soprattutto nella capitale Addis Abeba.
Il contingente dell’UNISFA, forte di quasi 4000 uomini e stanziato nell’area di Abey, al confine tra il Sudan e il Sud Sudan, è stato sino allo scorso anno composto principalmente da militari etiopici, poi rimpiazzati da un contingente multinazionale nel corso degli ultimi mesi, in conseguenza del deterioramento dei rapporti tra Etiopia e Sudan determinato dalla disputa per l’area contesa dell’al Fashaga e per il riempimento del bacino idrico della diga del GERD, sul Nilo Azzurro.
All’interno del contingente etiopico presente in Sudan si trovano ancora numerosi soldati di etnia tigrina, che hanno dichiarato di voler chiedere asilo politico e rifiutato l’ordine di rientro in patria.
La richiesta d’asilo ha determinato un caso giuridicamente complesso per le Nazioni Unite, che ha disposto il trasferimento dei militari etiopici in un luogo sicuro e contattato le autorità sudanesi, che dovranno decidere in merito alla richiesta di asilo formulata dai soldati.
Secondo le informazioni raccolte dalla stampa internazionale, che ha intervistato alcuni ufficiali del contingente etiopico, questi temono la possibilità di subire arresti indiscriminati in quello che considerano ormai un conflitto caratterizzato da un profilo etnico. Alcuni militari rientrati dal Sudan, infatti, sarebbero stati tratti in arresto o addirittura uccisi – secondo la versione degli ufficiali tigrini – che ritengono di rappresentare una minaccia per il governo federale in conseguenza della loro preparazione militare.

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