Shumete Gizaw, direttore dell’agenzia per la cybersicurezza dell’Etiopia – la INSA, Information Network Security Agency – ha confermato il 3 maggio scorso che i sistemi di controllo della diga del GERD hanno subito un attacco informatico, senza provocare danni grazie al tempestivo intervento degli specialisti dell’agenzia.

Gli attacchi avrebbero anche riguardato alcune banche del paese, nel tentativo di creare confusione nel sistema delle transizioni finanziarie, probabilmente al fine di gettare discredito sulla stabilità finanziaria dell’Etiopia.

Secondo il comandante della INSA, gli attacchi alla diga del GERD avrebbero cercato di colpire il sistema di controllo della diga e delle banche collegate al suo finanziamento – una rete di oltre 37.000 computer in tutto il paese – con il probabile intento di bloccare il regolare funzionamento dell’impianto e delle strutture preposte al suo finanziamento.

Shumete Gizaw non ha fatto alcun riferimento in merito alla responsabilità degli attacchi, sebbene menzionando genericamente una organizzazione “sostenuta da paesi che cercano di ostacolare la pace e lo sviluppo dell’Etiopia e che cercano di sabotare la riuscita della costruzione del GERD”. Un riferimento chiaramente allusivo all’Egitto, che tuttavia non è mai stato esplicitamente menzionato.

L’agenzia ha riferito di aver sventato migliaia di attacchi informatici nel corso degli ultimi anni, dei quali la maggior parte riconducile ad una organizzazione informatica criminale conosciuta come Cyber Horus Group. Un nome chiaramente allusivo ad una origine egiziana.

Questi attacchi informatici vengono condotti in uno dei momenti più critici del rapporto tra l’Egitto e l’Etiopia in merito allo sviluppo della diga del GERD, quando i colloqui sono ormai fermi da mesi e senza una reale prospettiva di ripresa nell’immediato.

Secondo l’ambasciatore egiziano negli Stati Uniti, Motaz Zahran, l’amministrazione Biden non avrebbe esercitato sufficiente pressione sull’Etiopia per risolvere la delicata questione e spingere Addis Abeba a riprendere il dialogo, aggiungendo esplicitamente come “tutte le opzioni siano sul tavolo” dell’Egitto, alludendo alla possibilità anche di un attacco militare all’infrastruttura del GERD.

Affermazioni pesanti, che non hanno trovato seguito sul piano della narrativa di governo dell’Egitto, ma che molti ritengono espressione della linea politica sostenuta dal presidente al-Sisi, orientata a sollecitare un intervento degli Stati Uniti anche attraverso la minaccia di un – alquanto improbabile, al momento – ricorso all’uso della forza per risolvere la disputa inerente la costruzione e la gestione della diga del GERD.

Nuove tensioni emergono anche nelle relazioni tra l’Etiopia e il Sudan, e il valico di frontiera tra i due paesi tra Galabat e El Gedaref è stato chiuso il 21 maggio dopo l’uccisione di tre contadini sudanesi ad opera – secondo le autorità di Khartoum – di alcuni miliziani etiopici.

Di avviso contrario il governo etiopico, che accusa invece il Sudan di essere impegnato in una costante azione destabilizzatrice lungo i confini, approfittando delle tensioni nella regione del Tigrai, attraverso il sostegno delle forze del TPLF e con l’intento di modificare il controllo delle aree di confine.

Mentre il governo del Sudan denuncia le incursioni di miliziani etiopici armati che attraversano i confini per rubare capi di bestiame e rapire contadini a scopo di estorsione, l’Etiopia rigetta le accuse e sostiene al contrario che le violenze transfrontaliere sono il risultato del sostegno fornito dal governo di Khartum ai miliziani del TPLF che hanno trovato rifugio oltre i confini del paese.

Sullo sfondo di questa nuova crisi torna ancora una volta in primo piano l’irrisolto problema della definizione dei confini tra i due paesi, ancora genericamente definiti dall’incerta cartografia coloniale che non ha mai definito con chiarezza l’esatta demarcazione degli oltre 1600 Km di confini tra i due paesi.

Questa ambiguità nella determinazione della linea di confine è stata esacerbata nel corso degli anni dalla continua espansione delle terre occupate dagli agricoltori etiopici, alla ricerca di sempre più ampi spazi coltivabili nella regione orientale di El Gedaref, rivendicata tuttavia dal governo sudanese.

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