La pubblicità data agli incontri è certo in parte “cosmetica” e volta a rassicurare soprattutto gli interlocutori internazionali della Somalia nelle more del rinnovo dell’interlocuzione con il FMI (Fondo Monetario Internazionale), infine concessa (19 maggio). L’impulso a migliorare le prospettive dell’economia e del contrasto al terrorismo è tuttavia piuttosto genuino e risponde a una attesa di miglioramenti, che è trasversale all’interno del Paese. Si conferma in generale la riduzione delle tensioni politiche – soprattutto in prospettiva; tale elemento porta a ritenere l’obiettivo della stabilità sia alla portata di Mohamud.
Il suo ritorno coincide con quello annunciato di Forze speciali statunitensi decisa dall’Amministrazione Biden e resa pubblica all’indomani dalla sua rielezione. È un modo per sottolineare l’impegno della nuova presidenza a rinnovare il contrasto a un terrorismo ancora capace di proiettare la sua minaccia fin nella capitale. Utile anche riannodare il filo della collaborazione con Washinton: questi decisori appaiono percepire Mohamud come un Presidente più credibile e più che il rientro di qualche centinaio di militari (circa 500 secondo le indiscrezioni) ciò rende possibile un contributo più convinto sia all’ATMIS (Missione di Transizione dell’Unione africana in Somalia) sia alle Forze Speciali Danab – pilastri dell’uso della forza nel Paese. Mohamud promette riforme in senso federale per le forze di sicurezza, più volte al centro della contesa.
Non mancano ovviamente critiche, da parte di quanti ritengono un approccio basato sulla pura forza destinato a non farsi mai strada tra la popolazione comune, dunque a ottenerne il supporto necessario a sradicare definitivamente la minaccia. Riaffiorano qui le ipotesi di instaurazione di un vero e proprio dialogo con la militanza, volto a chiudere con una amnistia e una soluzione politica la pluridecennale insorgenza. Tale passaggio è ancora solo prospettico, ma certo l’elezione di Mohamud lo rende meno velleitario.
Il terzo versante dello sforzo della nuova Presidenza riguarda lo sviluppo economico e la maggiore efficacia delle Istituzioni, dimensioni entrambe peraltro direttamente influenzate dalla sicurezza e dalla stabilità.
Un primo passo in avanti è dato dallo sblocco di 400 milioni di dollari da parte dell’FMI, cui si sono aggiunti nuovi aiuti umanitari da parte emiratina, per un ammontare di 9,5 milioni di dollari – in sostanza l’equivalente di quanto la Somalia stessa aveva appena dissequestrato e restituito agli EAU a chiusura formale della nota vicenda iniziata nel 2018. Il Premier Roble si è anzi recato di persona ad Abu Dhabi, per presentare le proprie condoglianze per la morte dello sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan.
Il progetto di riforma si fa qui più vago, ma è collegato alla volontà – se non di rimuovere – almeno di ridurre la tendenza alla formazione di una classe di “imprenditori politici” che gestiscono il potere economico senza alcun controllo reale sul loro operato. Se Mohamud riuscirà a tessere nuove alleanze interne come quelle che hanno condotto alla sua nomina e a garantirsi un supporto esterno, allora il suo progetto potrà prendere forma e condurre a una maggiore coesione e stabilità. A fronte di tali sviluppi è lecito attendere un raffreddamento del rapporto con l’Etiopia e forse con il Qatar, attori che resteranno comunque primari nell’orizzonte politico somalo.
Una cartina di tornasole si può già identificare nelle vicende della risorta milizia ASWJ (Ahlu Sunna Wal Jama) nel Galmudug, feudo di Farmajo. Mohamud ha buoni rapporti con il Presidente dell’Oltregiuba Madobe e l’omologo del Puntland Deni, ma promette di riformulare su basi nuove il rapporto con tutti i poteri di livello locale. Se lo stesso approccio verrà mantenuto anche nei confronti del Galmudug e di ASWJ, ciò potrà significare l’avvio di un processo virtuoso, che può liberare nuove risorse sia federali sia locali.